Lella Costa è "La vedova Socrate" per i 100 anni di Franca Valeri

SAN MAURO PASCOLI. È fra gli spettacoli clou dell’estate sammaurese; è La vedova Socrate, in scena stasera, prima regionale, alle 21.30 nella corte di Villa Torlonia. Sono due almeno le ragioni che invitano allo spettacolo; da un alto l’interprete è Lella Costa, signora del teatro, interprete che ha sempre scelto temi non banali legati al nostro tempo, serviti in chiave ironica; con attenzione particolare alle tematiche femminili. Dall’altro, il monologo omaggia un’altra signora del teatro italiano quale è Franca Valeri, in procinto di celebrare, venerdì 31 luglio, le sue prime 100 primavere. Valeri è stata prolifica autrice oltre che brillante attrice, capace di lasciarsi condurre da spiccata ironia spesso corrosiva, marcando i suoi scritti anche di analisi sociale, di disincanto, di narrazione caustica. È il caso di questo testo che la stessa autrice presentò anche in Romagna nel 2004 e 2005; monologo liberamente ispirato a un racconto del drammaturgo svizzero Dürrenmatt, nel quale aveva immaginato la Santippe socratea «non come una rompiscatole – ci disse allora Valeri – ma come una moglie “normale” con un marito che ha amato e detestato». Questa sera è dunque Lella Costa a cucirsi addosso La vedova Socrate con la regia di Stefania Bonfadelli soprano (fu premiata al Bonci di Cesena con la “Siòla d’oro nel 2003), ma anche regista, nonché figlia adottiva di Franca Valeri.
Ben trovata Lella, dopo il debutto di sabato nello splendido teatro greco di Siracusa, ci racconti in che modo è diventata la “vedova Socrate”.
«L’idea non è di certo stata la mia – risponde l’attrice – fu Franca Valeri, che fin’ora aveva portato in scena i suoi testi in modo esclusivo, a farmi chiamare dalla figlia e regista Stefania Bonfadelli, per dirmi che “le avrebbe fatto molto piacere che questo testo non se ne andasse con lei, e che l’unica in grado di portarlo in scena ero io”. Per me è stato come laurearmi, come ricevere un Premio, davvero un grande orgoglio».
Come ha trovato il testo nello studio preparatorio?
«È un testo che ha la voce di Franca, ma è anche colto, profondo, divertente, molto liberamente ispirato a uno scritto di Durrenmatt; nel quale, anche dal punto di vista filosofico, si dicono cose sul femminile e sul maschile straordinarie. Pieno di sfaccettature e intuizioni».
Cosa si ascolta ad esempio?
«Da subito la prima frase è geniale, ed è tanto Franca, quando esordisco con “Morto che meglio non poteva”. Poi a un certo punto Santippe/ Franca dice pure: “un pensiero non serve a niente se non è una risposta”. Per me è fantastico, e lei lo butta là in mezzo a tante altre costruzioni dove magari si perde, ma io vorrei che non si perdessero queste perle».
Quali consigli interpretativi le hanno suggerito, “maestra” e regista?
«Tutte e due mi hanno detto che il testo va prima di tutto capito e va rispettato, ma poi hanno aggiunto di sentirlo il più possibile mio, cioè di cucirmelo il più possibile addosso, proprio perché nessuna di noi vuole che sia una “fotocopia” dell’interpretazione di Franca Valeri. Così io la echeggio, come è giusto, nella battuta iniziale, poi però vado da un’altra parte, con toni miei che sono a volte anche simili ai suoi, con un di fare che ci viene anche dall’essere milanesi».
Cosa le piace di questa Santippe, ora anche sua?
«Mi piace che smonti uno stereotipo della Santippe rompiballe, moglie petulante, noiosa, inutile. Qui Santippe ne viene fuori come la più intelligente, come la vera custode del pensiero di Socrate perché è colei che veramente l’ha conosciuto e che lo difende dalle incursioni e dall’appropriazione indebita di Platone, che invece detesta con tutte le sue forze e, devo dire, emerge una figura molto divertente e assai poco simpatica del filosofo. Quando Santippe dice, “Platone ha un difetto che io non ho: è prolisso”, oppure: “Io sono ironica, non è il tuo genere”, è meravigliosa».
Cosa rappresenta per lei Franca Valeri, e cosa vi accomuna, considerando che al di là dell’anagrafe, siete diverse anche per i percorsi compiuti.
«Per me Franca ha sempre rappresentato un modello. È vero che lei non è mai stata femminista, né mai ci ha tenuto ad essere considerata tale. Ha fatto però un lavoro sulle donne straordinario, soprattutto sul diritto delle donne, sul bisogno di un racconto del mondo e della realtà che sia femminile. Magari non l’ha teorizzato, però l’ha portato in scena. Io appartengo a un’altra generazione; ciò che non ci accomuna è una sorta di “militanza” e di passioni che io ho avuto per molte cose. Ma c’è, ovvio, una distanza anche anagrafica e storica di cose vissute. Lei, di famiglia ebrea (il padre era l’ingegnere mantovano Luigi Norsa) ha vissuto un episodio cruciale della sua vita quando, rientrando nell’abitazione di fortuna, vide i nazisti che portavano via le persone con cui viveva, mai più tornate da Auschwitz. Non ha mai strombazzato questo fatto ai quattro venti, ma le ha dato un senso e un valore alla vita diverso da quello che posso aver vissuto io. Soprattutto Franca Valeri è una donna che non ha mai ostentato la sua cultura, ma ne ha fatto una ragione d’essere e quindi anche di lavoro. Sempre divertente e popolare, ma senza mai abbassare il livello».
E ora le passa il testimone.
«Spero di essere all’altezza; già nei primi anni Novanta mi fece il regalo di scrivere la prefazione a un mio libro; non abbiamo mai lavorato insieme però ho sempre dichiarato la mia ammirazione per lei, e forse chissà, ha visto in me qualcosa che le somiglia, al punto da potersi fidare. Forse perché siamo due ragazze di Milano e questo alla lunga conta».
Euro 15. Biglietteria dalle 16.
Info: 370 3685093

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