Le ragadi anali, una patologia che colpisce giovani e adulti

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Non se ne parla molto, ma rappresentano una delle malattie proctologiche più diffuse, soprattutto nei giovani adulti: le ragadi anali.

«La ragade – spiega il dottor Riccardo Riccardi, proctologo attivo sul territorio romagnolo – è una patologia ulcerativa, che si manifesta come una lesione ovalare, a forma di fiamma, che colpisce il canale anale».

Questa lesione si localizza in modo preciso.

«Si posiziona sotto la linea dentata che è un importante punto di repere costituito dalla sequenza di piccole strutture contigue: le valvole anali, nel contesto delle quali sboccano, a corona, le ghiandole del canale anale. Questa linea è il risultato della fusione di due diversi abbozzi che si uniscono durante la vita embrionale: il più elevato, da cui deriverà il retto basso, è l’intestino primitivo e quello inferiore, da cui deriverà il canale anale, è il proctodeo. La ragade anale è dunque una lesione ulcerosa che si viene a formare sotto la linea dentata e che può raggiungere verso il basso la rima anale, localizzandosi nella stragrande maggioranza dei casi sulla commissura posteriore del canale anale (a ore 6), perché già in condizioni normali, questa zona è particolarmente precaria dal punto di vista della vascolarizzazione».

Talvolta la localizzazione è nella zona opposta, sulla commissura anale anteriore.

«Può capitare, soprattutto nelle donne, che la ragade si trovi a ore 12, mentre che si posizioni lateralmente è davvero un fatto eccezionale. Se si insinua in queste sedi anomale, la ragade potrebbe essere il sintomo di altre patologie come il morbo di Crohn o di malattie sessualmente trasmesse. Raramente si può avere anche una duplice localizzazione».

Le ragadi anali colpiscono tipicamente i giovani adulti, maschi e femmine in egual misura.

«La sua origine è stata oggetto di svariate interpretazioni, ma in questi ultimi anni la teoria fisiopatologica più condivisa è quella dell’ipertono sfinteriale».

Per capire bene questa tesi bisogna fare chiarezza sulla struttura dell’ano.

«Lo sfintere anale esterno è un anello muscolare costituito da una muscolatura striata, quindi volontaria, all’interno del quale si trova un altro anello costituito da muscolatura liscia, lo sfintere anale interno, che non si muove volontariamente, ma per fenomeni riflessi. Questo secondo anello rimane costantemente contratto (rappresenta il principale meccanismo della continenza) e si apre solo durante l’evacuazione. Il tono di questo sfintere varia da persona a persona e, in diversi casi, si presenta più elevato del normale. È cioè presente un’ipercontrattura, una condizione parafisiologica che determina una sofferenza vascolare cronica della mucosa anale, la quale si traduce in una maggior fragilità della stessa e che quindi, in certe condizioni, può condurre alla comparsa della lacerazione della mucosa».

Sono vari i fattori scatenanti che possono provocare la comparsa della ferita.

«Può essere presente una turba dell’alvo sia nel senso di una stipsi cronica con emissione di feci dure o, al contrario, nel senso di una diarrea, oppure uno sforzo fisico importante, un microtrauma ripetuto o un disordine alimentare».

Il quadro clinico è abbastanza caratteristico. «Quando si verifica la ragade fa male e sanguina. La sintomatologia è costituita da dolore urente, specialmente durante l’evacuazione o subito dopo, ma l’intensità del dolore è estremamente variabile da individuo a individuo. Può comparire anche prurito e fastidio locale. Il sangue, di solito mai abbondante, è di colore rosso vivo».

Si tratta di una condizione che una volta instaurata fa fatica a regredire.

«Appena compare, si presenta come un’ulcera acuta dai bordi netti e ben delineati, che rapidamente però evolve in una forma cronica con margini che si ispessiscono. La ragade fa fatica a guarire perché si innesca un circolo vizioso rispetto allo spasmo. A ogni evacuazione si genera il dolore che, per via riflessa, accentua lo spasmo e questi nuovamente il dolore. Si verifica così un meccanismo che si autoperpetua e che impedisce ai processi riparativi, peraltro fin da subito attivi, di raggiungere il loro scopo. Il percorso di guarigione cicatriziale non viene quindi quasi mai ultimato per cui, attraverso successive fasi cliniche costituite da alti e bassi, si instaura una sorta di inseguimento continuo dei processi riparativi, i quali, mediante un processo dinamico inefficace, non riescono a raggiungere l’obiettivo della guarigione clinica e anatomica della lesione».

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