Le manifestazioni ippiche delle prime stagioni dei bagni

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Nell’estate del 1844, ad appena un anno dall’inaugurazione dello Stabilimento balneare dei conti Alessandro e Ruggero Baldini e del dottor Claudio Tintori, si costituiva la prima società riminese degli “Appassionati dell’equitazione”. I membri di questo sodalizio non si prefiggevano solo di incrementare la “passione” per i cavalli, ma erano intenzionati anche a dare impulso alla “stagione dei bagni”, ravvivandola con una serie di manifestazioni ippiche. Essi erano convinti che le “piacevolezze” di stampo equestre, tanto seguite dall’alta società, potessero dare un tocco di classe alla «bagnatura» e nel contempo richiamare in città i «forastieri» di rango. Presupposti, questi, che tentavano di conciliare l’utile al dilettevole e che trovavano nel fascinoso mondo del trotto e del galoppo il primo grande veicolo di promozione turistica del lido in grado di incidere sia sulla qualità della clientela che sulla sua affluenza. Argomenti che in seguito sarebbero diventati una costante dialettica degli operatori dell’estate riminese.

Per le corse dei cavalli veniva predisposto il tratto di litorale, alla sinistra dello Stabilimento verso il porto, già utilizzato in passato per sporadiche iniziative del genere. Tanto più che l’emozione della cavalcata lungo il “bagnasciuga”, stemperata dalle soavi brezze marine, aveva sedotto generazioni di patiti di questa “nobile arte”, anche quando le insidie del litorale, un coacervo di dune, rigagnoli e canneti, rendevano inopportune certe “avventure”. Ricordiamo anche la ventata di entusiasmo per lo “sport” del cavallo portata in città dai francesi durante il periodo napoleonico: i militari di cavalleria per vincere la noia non trovavano di meglio che cimentarsi in spettacolari sfide equestri lungo il litorale sotto l’occhio timoroso, ma attento di qualche curioso locale (si veda Giornale di Rimino, manoscritto di Michelangelo Zanotti).

Le invoglianti proposte degli “Appassionati dell’equitazione” e soprattutto i sostanziosi premi messi in palio per le competizioni sulla “sabbia” di Rimini – naturalmente non si parlava di ippodromo – attiravano puledri di qualità e registravano calorosi entusiasmi tra la «numerosa ed eletta» folla di «forastieri». Per qualche anno il calendario della calura si arricchiva di gare ippiche di tutto rispetto; in seguito, però, difficoltà finanziarie, irregolarità del terreno e strutture inadeguate e insicure allontanavano dalla “morbida” pista di Rimini i migliori stalloni e il “cartellone” si declassava fino a ridursi ad un susseguirsi di ridicole, a volte persino “squallide”, sfide tra cavalieri locali, senza alcun interesse agonistico, intervallate – tanto per fare piacere ai bagnanti – da gare di tiro a segno con l’arco e di tiro a volo e al bersaglio con il fucile.

Nel 1852 una serie di lavori finanziati dai soliti “Appassionati dell’equitazione”, intenzionati a riproporre manifestazioni equestri più dignitose, dava un po’ di decoro all’impianto delle corse: la pista diveniva più dura, gli steccati più sicuri, i “legni” per il pubblico più confortevoli. Le migliorie apportate incentivavano l’attività ippica e riuscivano a qualificare per qualche stagione anche il livello delle riunioni. Ma era solo fuoco di paglia. Agli occhi degli intenditori, abituati a ben altri ambienti, l’“ippodromo” di Rimini, quantunque riassettato, rimaneva sempre una modesta e rimediata apparecchiatura, senza alcuna possibilità di invogliare le più blasonate scuderie e tanto meno i fantini di grido. E così, nel giro di qualche anno, ancora una volta il fervore per le competizioni ippiche si affievoliva.

Alla fine degli anni Cinquanta, il vento dell’Unità d’Italia cominciava a soffiare forte e non pochi riminesi riversavano le loro energie nei nuovi progetti “risorgimentali”. Anche per questi «nobili ardori patriottici» il turismo e tutte le iniziative legate alla “bella stagione” segnavano il passo. Una volta, però, entrati nel Regno d’Italia gli antichi rituali della calura tornavano a far capolino e ad alimentare i sogni. E tra questi un posto di tutto rilievo spettava alla edificazione di un vero e proprio ippodromo.

In attesa della sua realizzazione – che tratteremo in un prossimo articolo –, continuava ad essere utilizzata la vecchia struttura. Nella impossibilità di competere con i sontuosi centri del trotto e del galoppo, l’ippica riminese abbandonava le grandiose ambizioni limitandosi a programmare sulla “sabbia” una serie di riunioni “minori” capaci di suscitare l’attenzione esclusivamente dei locali: corse di cavalli a sedioli, a carrettoni, a biroccini, a traina, a travarga e, di tanto in tanto, anche “a fantino” (Il Corriere dei bagni, 7 agosto 1872).

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