Un certain Robert Doisneau, quell’insolito sguardo sul mondo di uno dei più iconici fotografi del secolo breve, approda in mostra a Riccione da oggi fino al 12 novembre nelle sale della ex Villa Margherita. Si tratta di una vera e propria immersione nel suo immaginario tra 140 foto in bianco e nero e a colori, frutto della selezione di 450mila negativi, prodotti in oltre 60 anni di attività dell’artista francese, dagli anni Trenta alla fine degli anni Ottanta. L’esposizione è curata dall’Atelier Robert Doisneau e realizzata a partire dalle stampe originali della collezione. Un ambizioso progetto nato dalla volontà delle amate figlie del fotografo, Francine Deroudille e della sorella Annette. La mostra è organizzata dal Comune di Riccione con Civita.
«Diventare fotografi è un atto di disubbidienza – affermava Robert (1912-1994) –, curiosità e disubbidienza sono i due requisiti di questo mestiere».
Lui timido e riservato diceva «mi piace rimanere nell’anonimato», così scendeva in strada con la sua Rolleiflex per cercare di soddisfare il proprio piacere personale nel fotografare, «paziente come un pescatore», e immergersi in quella comédie humaine che tanto ha rappresentato lungo tutto il corso della sua carriera, avvicinandosi delicatamente ai soggetti. Dando vita a un modo di osservare e di interpretare la realtà capace di cogliere e restituire un mondo in cui poter credere e in cui poter sognare.
Nel suo racconto per immagini tanta parte ha avuto l’attenzione alle classi popolari, a quei luoghi abbandonati o in via d’estinzione che lo hanno reso un testimone della contemporaneità per la sua vigile attenzione alle istanze sociali. Entrando a pieno titolo nel giornalismo di strada e nella cosiddetta “fotografia umanista”.
Fu grande amico degli esistenzialisti, di poeti e artisti. Nel 1946 entrò a far parte della agenzia fotografica Rapho, acronimo di Rado-Photo, dal nome del suo fondatore, a cui presero parte: Ronis, Izis, Niépce, Weiss e Boubat, uniti dall’amicizia e dalla volontà di restituire la quotidianità delle persone, senza diktat.
Suoi servizi sono apparsi su importanti riviste internazionali, quali Life o Vogue. Tra i capolavori in mostra, per grande gioia dei fruitori, sarà possibile ammirare instancabilmente Bacio all’Hotel de Ville, 1950, apparentemente “rubato”, prodotto per la rivista Life, all’epoca la più letta d’America, scatto simbolo di una generazione che tirava su la testa dopo le devastazioni belliche, una tra le foto più iconiche, entrata nell’immaginario collettivo, dell’idea che ormai abbiamo introiettato di Parigi.
Per cinque anni, dal 1934 al 1939, lavora come fotografo industriale per la Renault, qui scopre la vita degli operai e le successive rivolte. Immortala la città ferita dalla guerra restituendoci sempre uno sguardo non convenzionale, speranzoso: i bambini, le vie, i negozi, l’alta società, ritratta con sguardo beffardo, e prima ancora la Resistenza cui egli stesso prende parte in qualità di litografo, arte che impara a scuola e qui usa per falsificare documenti.
Nel 1951 va al Moma di New York nella mostra Five french photographers, chiamato da Edward Steichen. E vince importanti premi.
Le immagini in esposizione a Villa Margherita sono folgoranti, divise in 9 sezioni, ci mostrano la qualità e la ricerca formale che lo hanno caratterizzato lungo i vari filoni tematici che egli ha affrontato, e ci raccontano la sua appassionante storia autobiografica, arricchita anche dagli intimi bigliettini di Natale che realizzava per gli amici e un emozionante album di famiglia, che prende le mosse dall’anno della sua nascita a Gentilly, in quella periferia parigina che tanta parte ha avuto nei suoi scatti futuri. Una infanzia non troppo felice, per la morte prematura della madre, che attraverso il mezzo fotografico ha cercato di sanare, andando on the road a caccia di tenerezza, umanità e ironia, caratteristiche preponderanti nello sguardo di un uomo, un umanista, innamorato della gente e dei luoghi.

Le foto di Doisneau a Riccione
