Le favole nere di Emma Dante a Cesena: l'intervista

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Va in scena al teatro Bonci di Cesena un trittico comprensivo di una prima nazionale di lusso, coprodotta da Ert, pensata per i ragazzi ma rivolta anche agli adulti. La prima è “Scarpette rotte” di Emma Dante, rivisitata dalla favola di Andersen “Scarpette rosse”. Dante, artista palermitana di fama internazionale, è regista, autrice, già attrice, ospite per la prima volta al Bonci. Allestita in questi giorni sul palco cesenate, “Scarpette rotte” debutta sabato 19 e domenica 20 febbraio alle 17.30; lunedì 21 e martedì 22 febbraio replica alle 10 per le scuole. La personale di Emma Dante comprende altre due favole di repertorio della sua compagnia ultraventennale Sud Costa Occidentale, “Gli alti e bassi di Biancaneve” (13 e 14 marzo) e “Anastasia, Genoveffa e Cenerentola” (28 e 29 aprile). L’artista dallo stile intenso, viscerale, che si insinua e si contamina nella carnalità dell’attore, è attiva nel teatro di prosa, in quello per i giovanissimi, nell’opera lirica, e pure nel cinema. Attualmente sta preparando il suo terzo lungometraggio “Misericordia”.

Emma, le scarpe rotte del titolo si riferiscono forse agli atti violenti contro le donne?

«C’è anche questo legame, il colore rosso, così come le scarpe, ci appartiene. In questa favola adatto al mio sentire temi trattati dall’autore. Sappiamo che la protagonista nasce povera, infelice, fino a quando riceve le scarpette e la sua vita cambia. Viene adottata da una ricca signora, diventa bella, le torna la voce, ha tutto. Ma le viene detto: ricordati com’eri. Lei lo dimentica e comincia ad annoiarsi».

La noia diventa dunque un problema?

«È un pericolo, come lo è per tanti ragazzi di oggi benestanti. La gente disperata non si annoia impegnata a lottare per vivere. I ragazzini, così impegnati a incontrarsi virtualmente, in video, magari su Tik Tok, si annoiano. Me ne accorgo con mio figlio di 9 anni, continuamente in cerca del tablet. Anche lui era un bimbo nato infelice, vissuto nei primi anni in un orfanotrofio russo. Adesso è un bambino felice, però pure lui si annoia. Questo spettacolo lo dedico a lui».

La noia dunque come morale?

«Un altro elemento centrale è il dimenticarsi della propria origine, da dove si è partiti. La nostra bambina se lo dimentica quando diventa ricca. In Andersen il finale è nero, la bambina muore costretta a danzare; nel mio caso lascio la morale, così come il cimitero in cui la protagonista si trova all’inizio».

Che peso occupa il teatro per i giovanissimi nella sua compagnia?

«Non è un segmento a parte, si è sviluppato in modo parallelo a quello per adulti, e con la mia stessa compagnia. È sorta in noi l’esigenza di rivolgerci anche a un pubblico di famiglie e di adulti che non hanno perso il bambino dentro di sé. Aggiungo che questa ricerca ha a che fare con gli stessi codici del nostro teatro serale, con una responsabilità più forte ancora».

Perché privilegia favole?

«La favola, in quanto classico, è un territorio da esplorare, non finisce nella sua lettura e interpretazione, ha più strati, soluzioni, vie da seguire. I miei spettacoli in fondo sono sempre stati favole nere, drammatiche. Verso i ragazzi ho un taglio più morbido, leggero, misurato, ma comunque dello stesso livello di quello per adulti, non di serie C. Lo dimostra il fatto che mi servo degli stessi attori».

Quale caratteristica contraddistingue la sua compagnia?

«Da vent’anni siamo sempre gli stessi, oggi abbiamo famiglia, non siamo più ragazzini, viviamo col teatro. Siamo più o meno una decina, abbiamo il repertorio, gli stessi attori recitano in “Cenerentola” come in “Misericordia”. Alcuni vivono all’estero ma ogni volta tornano a Palermo per provare e allestire. Per sei anni ho anche diretto una scuola al Biondo di Palermo dove ho selezionato nuovi attori».

Avete una sede a Palermo?

«Abbiamo uno scantinato, La Vicaria, dal nome di un ex carcere femminile, nella periferia, paghiamo un affitto di 1700 euro al mese più le utenze, la città di Palermo non ci ha dato niente. Lì dentro facciamo di tutto: laboratori di opere liriche, di teatro, prove, provini dei film… Le abbiamo provate tutte per ottenere una sede migliore; in risposta anni fa il sindaco mi screditò a un convegno universitario, dicendo che io sarei stata una delle eccellenze che forse si sarebbe dovuta ridimensionare, che si dava troppe arie».

Prossimi lavori?

«In primavera comincerò le riprese di “Misericordia” nel trapanese. Come già per “Le sorelle Macaluso”, anche questo film è riscritto a partire dalla pièce. In fondo io sono una teatrante, convinta che i teatri non chiuderanno mai». Info: 0547 355959

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