Le associazioni green bocciano il Piano di ripresa e resilienza

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Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) non è l’eccellenza della sostenibilità. Anzi. Le associazioni lo bocciano perché manca di coraggio. A commentare così pesantemente il programma definito dal Governo è Livio de Santoli, presidente del Coordinamento Free, associazione che accorpa 24 realtà attive nel mondo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica.

«Su rinnovabili ed economia circolare quello del Pnrr è un approccio deludente - spiega - Risponde a una logica di soluzioni poco coraggiose e così l’Italia rischia di non raggiungere gli obiettivi necessari in materia di rinnovabili e sostenibilità. L’insieme del documento contiene, specialmente per la parte green, una serie di provvedimenti con poche rinnovabili, scarsa elettrificazione nei trasporti, semplificazioni poco chiare, economia circolare riduttivamente considerata solo in chiave rifiuti e non di sviluppo della filiera industriale, scarsa attenzione all’efficienza energetica, totalmente assente se non fosse per il superbonus 110%».

«Sulle fonti rinnovabili si punta a un incremento, ma non ci siamo. - continua il presidente del Coordinamento - I pochi numeri che troviamo sull’argomento, infatti, confermano ciò. 2 Gw per l’agrivoltaico, 2 Gw per le comunità energetiche, e solo per i comuni al di sotto di 5.000 abitanti, quando invece occorrerebbe includere le aree industriali e le periferie delle metropoli, 0,2 Gw per l’off shore, praticamente un unico grande impianto, 2,5 miliardi di metri cubi di biometano quando sono 70 quelli utilizzati oggi di gas naturale, sono questi i numeri che sembrerebbero sbagliati (e che rappresentano il 15-25% del necessario) se non fosse che provengono dal Governo».

Il Coordinamento Free ha stimato, in un recente documento, come obiettivo intermedio al 2025, cifre diverse: 26 Gw di fotovoltaico, 7 Gw di eolico. Per De Santoli quella prevista da Palazzo Chigi è «una percentuale ridotta rispetto alle rinnovabili necessarie per rispondere alle richieste europee. E per il processo autorizzativo degli impianti che come sappiamo è uno degli ostacoli più grandi che riguarda le rinnovabili mi sembra ci sia farraginosità e poca chiarezza. Bene la cabina di regia alla Presidenza del Consiglio, cosa che il Coordinamento chiede da molto tempo, ma anche presenza di ruoli che si sovrappongono, tra Comitato interministeriale per la transizione ecologica, al quale però non partecipa il Ministero della Cultura e una struttura apposita presso la Presidenza del Consiglio in raccordo con il Dipartimento Affari Giuridici e coordinata dal Ministro della pubblica amministrazione. Tradotto: si creano due organismi o tre e non si dice che le Soprintendenze devono intervenire solo sulle aree vincolate».

Anche Greenpeace non ci sta, tanto che alcuni attivisti hanno voluto dar vita a una iniziativa dimostrativa e ribattezzare il Ministero della Transizione ecologica nel “Ministero della finzione ecologica”. Per l’associazione il Piano «non fa intravedere una decisa strategia per quella transizione ecologica urgente e necessaria per permettere al Paese di dare il proprio contributo nel contrasto all’emergenza climatica in corso» e «non indica chiare priorità per lo sviluppo delle rinnovabili, lascia poco più che briciole alla mobilità urbana e sostenibile e alla protezione della biodiversità. Dimentica, inoltre, le necessarie misure per la promozione dell’agroecologia e la riconversione degli allevamenti intensivi e declassa l’economia circolare a una mera questione di gestione dei rifiuti». «Quanto contenuto nel Pnrr non è transizione ecologica ma finzione», commenta Chiara Campione, portavoce della campagna #IlPianetaSiSalvaAdAprile di Greenpeace Italia.

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