Laura Morante a Riccione con la sua “Medea”

«Fra tutte le creature dotate di anima e intelletto noi donne siamo le più sventurate», afferma la Medea di Euripide. Un personaggio femminile reimpiegato nei secoli, che riflette e vive un forte dissidio interiore ed esteriore, aprendo il nostro sguardo su qualunque oppressione e ingiustizia, così come sulla condizione femminile e di esule. E abbiamo l’occasione di poterne ancora sentir vibrare la forza attraverso il personale adattamento di “Medea” che l’attrice e regista Laura Morante – premiata nel giugno scorso con il Nastro d’argento speciale, già David di Donatello per l’interpretazione nel film di Nanni Moretti La stanza del figlio – porta in scena il 26 febbraio nell’ambito de “La bella stagione. Spazio Tondelli on the go”.

Lo spettacolo – già sold out – è in scena al Palazzo del Turismo di Riccione, diretto dal regista Daniele Costantini e accompagnato dai musicisti Davide Alogna e Giuseppe Gullotta, che eseguiranno al violino e al pianoforte brani di Debussy, Chopin e Guido Alberto Fano.

Dalle note di regia si legge che in Medea Euripide rappresenta il cuore umano nelle sue parti più oscure, in cui istinto e intelletto si confondono e lo smarrimento assoluto si sposa alla lucidità estrema. Medea concentra nell’amore per Giasone tutta la sua energia esistenziale, fino a travolgere ogni distinzione di bene e male: e uccide, scegliendo una vendetta spietata.

Un groviglio sconvolgente: che Medea è quella del recital riccionese?

«L’idea nasce da Elena Marazzini, la produttrice dello spettacolo, io ho fatto un adattamento dei momenti salienti della tragedia in forma di monologo con un unico personaggio in scena, senza altri interlocutori».

Che ruolo ha qui la musica dal vivo?

«Importantissimo, non è un accompagnamento. La scelta dei brani, ad opera dei bravissimi musicisti, è molto importante ai fini del racconto».

Che cosa pensa dell’attualità della tragedia?

«La tragedia greca continua ad essere attuale e credo lo sarà per sempre. Tanto è vero che sto lavorando a un nuovo testo tratto da varie tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide, con 6 personaggi femminili: Clitennestra, Cassandra, Elettra, Ecuba, Andromaca ed Elena, legate alla guerra di Troia, che si confrontano attraverso monologhi, in parte ricreati, inventati e in parte tratti, adattati dalle tragedie. La tragedia greca non finirà mai, perché c’è una forza, una potenza che è difficile trovare altrove. Ho avuto una esperienza come spettatrice, mentre ero in giuria a Taormina, in un giorno di pausa dalle proiezioni sono andata a Siracusa e c’era una bellissima Antigone, alla prima battuta del testo ho pianto e ho continuato per le successive tre ore, una totale catarsi, improvvisamente questa luce così potente straordinaria, che è quella della tragedia, è stata una specie di choc emotivo fortissimo. Non essendo ancorata a un tempo, non muore con il passare dei secoli, continua a parlarci in modo molto efficace, profondo, perché non è la riproduzione di una realtà circostanziata, ma si rivolge alle passioni assolute, l’odio, l’invidia, la vendetta, l’amore, la passione, rappresenta gli archetipi, noi ci fermiamo un passo più indietro».

Come mai secondo lei il pubblico sente ancora il bisogno di andare a teatro?

«Mi augurerei che la gente andasse di più a teatro e al cinema, soprattutto anche i giovani. Il teatro continua a vivere perché è un’arte antica, più radicata rispetto al cinema. Il teatro non è soltanto spettacolo, è anche una cerimonia, contiene una sacralità che il cinema non ha, perché è tutto fittizzio, “è un cadavere nemmeno troppo fresco”, diceva Orson Welles. Quando fruisci di uno spettacolo o lo fai, sei difronte a esseri umani che vivono, procura un’emozione diversa, qualsiasi cosa possa accadere».

Uno spettacolo o film per lei segnante?

«Tanti, però il film che mi ha destato la curiosità sul mezzo cinematografico è stato di Fellini, ero ragazzina e vivevo in provincia, non andavo molto al cinema, amavo leggere sopra ogni cosa, e quando vedevo un film mi dicevo sempre: “Vuoi mettere leggere un libro!”, mi sembrava più interessante, e quindi grazie a ho compreso che col cinema si possono fare cose che non si potrebbero fare altrimenti. Fellini mette in quel film emozioni che sono cinematografiche, di cui è difficile trovare un corrispettivo in letteratura. Resto una appassionata di libri più che di cinema, ma quel film mi aprì gli occhi sulle possibilità del cinema».

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