L'attualità dell'Ellenismo secondo lo storico riminese Muccioli

Cultura

RIMINI. Dalla morte di Alessandro Magno (11 giugno 323) al suicidio di Cleopatra (12 agosto 30), sono tre i secoli di storia che vengono convenzionalmente considerati “Ellenismo”, seppure il periodo possa estendersi anche dal regno di Filippo II, padre di Alessandro, a quello dell’imperatore Adriano. Ed è su questi 300 anni che si sofferma l’analisi di Federicomaria Muccioli, studioso riminese e ordinario di Storia greca all’Università di Bologna, autore del libro Storia dell’Ellenismo.


«Per lungo tempo – scrive Muccioli – lo studio della storia ellenistica è rimasto in un limbo tra i cultori della grecità, soprattutto in ambito italiano. In controtendenza, gli ultimi venticinque anni hanno visto invece una vera e propria esplosione di interesse per quel periodo e i suoi protagonisti, e sempre più imponente è la bibliografia a riguardo, in gran parte in lingua inglese».
In questo rinnovato interesse per l’Ellenismo trova spazio questo «nuovo profilo storico da intendersi in senso lato (non solo strettamente evenemenziale, dunque), utile sia agli studiosi sia, in particolar modo, agli studenti».
Nelle 265 pagine appena pubblicate dal Mulino, Muccioli si sofferma anche su «protagonisti e avvenimenti che nella manualistica spesso rimangono sotto traccia o vengono analizzati per lo più solo dal punto di vista romano». Nonché su «quelle monarchie un tempo ritenute sbrigativamente “periferiche” (dai Parti e gli Armeni, per arrivare agli Indo-Greci), ma che contribuiscono con pari dignità rispetto alle regalità propriamente greco-macedoni a caratterizzare il sugo della Storia ellenistica». «Un periodo così complesso e pieno di sfaccettature – aggiunge – deve conoscere una declinazione al plurale, per cui non senza ragione alcuni studiosi parlano di Ellenismi».
Fatti e personaggi davvero molto lontani da noi. Qual è il senso di occuparsi di storia antica oggi?
«La storia antica – spiega Muccioli –, sia quella romana sia soprattutto quella greca, ha ancora oggi una attualità davvero impressionante. È con i Greci che nasce il culto della personalità, il rapporto di tipo carismatico dei leader con le masse, lo stesso concetto di democrazia (che appare propriamente con Pericle) e, parimenti, quello di demagogia. Per non parlare del rapporto tra pubblico e privato e del problema della partecipazione alla vita pubblica anche delle classi più disagiate. Epoche, soprattutto quella greca, di grande fermento e spesso di disagio. In fin dei conti, che cosa sono i coloni di VIII-VII secolo se non dei grandi migrantes, che muovono verso Occidente o verso il Mar Nero, in fuga dalla loro patria per motivi economici, politici o per mancanza di terre?».
In un periodo in cui gli errori e orrori della storia sembrano ripetersi e tornare (si vedano i rigurgiti neonazisti in tutta Europa), l’“historia magistra vitae” di Cicerone ha ancora un senso?
«Mi capita spesso di fare riferimenti alla storia contemporanea italiana nel mio corso di storia greca, per creare dei collegamenti con l’antico. Ma noto che sempre più tendiamo a dimenticare completamente il passato, anche quello più recente. Costruirsi una cultura, un bagaglio culturale che non sia solo puro meccanicismo e conoscenza del know how tecnologico non può prescindere dal capire le proprie radici. E su questo bisogna puntare, nel recupero dei nodi cruciali della Storia. Una conoscenza che non è puro nozionismo, ma che permette di capire le dinamiche storiche, attraverso tutte le sue componenti. Solo così si può preavvertire il pericolo di rigurgiti pericolosi ed evitare di esserne travolti o diventarne compartecipi, se non complici».


Dal suo osservatorio, come vede l’Università italiana di oggi? Funziona o è da cambiare?
«L’università conosce attualmente un momento di grande fermento e di rinnovamento, dopo tanti anni di immobilismo. È ormai tramontata una concezione baronale in cui il docente era il dominus indiscusso, in cui parlava veramente ex cathedra senza reali contatti con il suo pubblico. Ora vi è un rapporto più “dinamico” tra insegnanti e studenti, in cui questi ultimi hanno una parte sempre più attiva, anche di controllo della qualità della didattica. E i docenti sono stimolati, anche dalla governance degli atenei, a migliorare costantemente il proprio lavoro. Anzi, il controllo sulla “produttività” dei docenti (ovvero la parte didattica, ma anche quella della ricerca scientifica) è sempre più fondamentale (qualche collega direbbe pressante). Rimane il problema della scarsità dei fondi, particolarmente drammatico per certe Università (Bologna, in questo senso, è un’eccezione virtuosa)».


Il libro verrà presentato al Festival del mondo antico domenica 13 ottobre alle 11 alla Domus del Chirurgo di Rimini. Dialoga con l’autore Stefania De Vito dell’Università Ca’ Foscari, Venezia.

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