L'antipatia di Renzi e il sonno del Pd

Rimini

Chi si ostinasse, nonostante i tempi, a coltivare una memoria storica si ricorderà quanto da noi scritto alla vigilia del voto: in un sistema proporzionale una campagna elettorale infarcita di odio nei confronti dell’avversario avrebbe portato a un non governo. Così è stato. Lo stallo romano crea problemi a tutto il Paese, dal centro alle periferie. A livello nazionale, per fare un esempio, viene così rimandata ancora una volta la partenza di una web tax capace di tassare le multinazionali del web a livelli comunque inferiori di quanto avviene per i cittadini italiani, facendo perdere alle casse dello Stato ogni anno miliardi di euro da destinare alla sanità, alla scuola, alla sicurezza dei cittadini o a chi cerca lavoro.
Come se ne esce? Le strade sono due: o cadono gli steccati fra le forze politiche, a costo di rimangiarsi molte delle parole d'ordine della campagna elettorale, oppure si va di nuovo a votare. Sì, ma con quale sistema elettorale? Tutto dipenderà dai protagonisti di questa fase politica.
Già, ma chi è il protagonista del Pd? Chi è il leader del secondo partito più votato alle ultime elezioni? Il reggente Martina o il segretario dimissionario Renzi che continua a parlare da leader e che ha piazzato i suoi uomini in Parlamento grazie alle “non primarie”? Se fra i leader politici il gioco allo scaricabarile dovesse andare avanti, presto si tornerà a votare e il Pd sarà come una nave dentro la tempesta e col timone rotto.
Due considerazioni. La prima: dopo il calo di consensi delle ultime elezioni e le dimissioni di Renzi, il Pd ha un bisogno vitale di legittimare una classe dirigente attraverso un congresso in cui iscritti (o elettori) possano dire come la pensano (in fondo nel nome si definisce “democratico”). La seconda: come spiegarsi il sondaggio diffuso ieri dal Corriere della Sera (ma non è il solo che dice queste cose) nel quale il premier in scadenza Gentiloni (Pd) gode del 43% di gradimento contro il 15 di Renzi? In fondo non si può dire che il primo abbia stravolto le politiche messe in atto dal secondo. Quantomeno ha agito in continuità. E' evidente quindi l'antipatia o mancanza di fiducia che Renzi raccoglie fra gli italiani e gli stessi elettori del Pd. E' evidente che non si può dire “se perdo il referendum lascio la politica” e poi rimangiarsi quello che si è detto. E non si può neanche trasformare il partito, che della discussione e del confronto faceva una ragione di vita, in una “ditta” in cui c'è un leader che decide tutto da solo, premiando i fedelissimi. L'impressione è che Renzi, il rottamatore che si è rottamato da solo, sia ormai una zavorra per tutto il Pd, una zavorra che lo sta trascinando verso il fondo. A meno che non riesca in un colpo di scena. Lo stesso sondaggio il 20 aprile aveva dato il Pd in leggera crescita (19,5%) ma quando l'ex segretario è riapparso in tv da Fazio e tornato a scendere (18,3).
Il vero problema è che il senso democratico dei democratici è talmente anestetizzato che nessuno muove un deciso passo verso il congresso.
Un Pd alla deriva, per quanto all'opposizione, è un problema per tutto il paese. In particolare per quei sindaci (e comuni) romagnoli che rischiano di restare a governare in perfetta solitudine senza più riferimenti nazionali di un certo peso. E presto, chi prima chi dopo, voteranno anche i Comuni.

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