L’anno senza inverno: Enrico Brizzi racconta sul Corriere Romagna

Cultura

I primi giorni del nuovo anno furono caldi e sereni, come se l’inverno non volesse saperne di presentarsi a fare il suo mestiere. «Arriva, arriva» pronosticavano i vecchi radunati a chiacchierare sulla palata del molo, poi accennavano al cielo azzurro e terso e lo indicavano rabbiosi, come si fosse reso colpevole di qualche sconveniente complicità. Oltre il braccio d’acqua del porto canale, si poteva vedere nitidamente la costa sino a Bellaria e oltre; più in su svettava netto il grattacielo di Cesenatico e, oltre la linea bassa e verde della pineta, quello di Milano Marittima. «Tanto arriva, il vigliacco» assicuravano i vecchi. «Arriva e ce la fa pagare tutta con gli interessi». L’inverno, però, non arrivava mai. Pareva sceso in sciopero il furièn, il vento secco e gelido che s’insinuava dalle steppe dell’Est rasando le colline del Carso, per riversarsi sull’Adriatico; nella brutta stagione, al solito, quel ventaccio che sull’altra sponda chiamavano “bora”, e nelle campagne dell’interno “bura” o “buriana”, si scatenava a più riprese colmando il mare di onde dalle creste candide, come se il dio di quel regno liquido avesse aizzato le sue cavallerie, comandando loro una carica rabbiosa contro le coste della Riviera. QUESTO è l'inizio del racconto di Enrico Brizzi pubblicato in due parti sul Corriere Romagna di martedì 31 marzo e lunedì 1° aprile.

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