L'analisi di Pizzolante: il taglio dei parlamentari

Mio padre, operaio di una industria chimica del sud, quando ero piccolo, di fronte alla fatica di governare una famiglia con 4 figli, in alcuni momenti di “difficoltà” (oggi diremmo “rabbia”), diceva: “focu allu parlamentu!”. Un bel po’ d’anni dopo mi ricordai di queste espressioni così forti, ero in Aula, sedevo su una “poltrona” parlamentare, gli telefonai e gli chiesi: allora, sono qui, mintimu focu allu parlamentu? “No moi no”. Mi rispose.
Non escludo che a mio padre, fatto salvo il figlio, che adesso non correrebbe rischi in caso di incendio, ogni tanto, qualche “stizza” antiparlamentare, gli torni.
È il “popolo”, che semplifica. Sono umori legittimi, comprensibili, “piove governo ladro”.

Sono i tumulti dell’animo umano che le democrazie comprendono e contengono, quando sono sane. Nei regimi autoritari, nelle tirannie, non esistono. Avete mai sentito dire: “piove dittatore ladro”? E c’è mai stato un assalto al Parlamento, come nella Francia degli anni 80 dell’ottocento, dove ebbe inizio l’antiparlamentarismo, in una dittatura? No! Se il Parlamento non esiste non lo si può attaccare. E quando inizia in Italia la prima stagione anti parlamentare? Negli anni dieci- venti, del 900. Cento anni fa. Quando la democrazia fa un passo importantissimo in avanti. Quando, con il “suffragio universale”, il “popolo” entra in Parlamento! Prima alla Camera, si entrava per Censo, 40 lire di imposta annua, al Senato su nomina del Re.
Prima votavano circa due milioni di persone, poi 10 milioni. Da lì a poco, inizia una grande campagna anti parlamentare del Corriere della Sera. Che dà voce alla grande borghesia del nord e ai latifondisti del sud. Che non avevano più il controllo del Parlamento eletto o nominato per Censo. Oggi di nuovo, tutto è iniziato con la campagna anti casta del Corriere. Si pensa lo facciano per il “popolo”, ma nella storia è sempre stato fatto contro il “popolo”. E i parlamentari iniziano a prendere uno stipendio da quando in Parlamento entrano i rappresentanti del popolo e non più solo quelli del Censo, non ne avevano bisogno loro.
Cosa voglio dire? Voglio dire che la “rabbia” di mio padre è comprensibile. È anche il segno evidente di una democrazia sana che lo consente. Ma la rabbia usata per umiliare il Parlamento non può essere compresa. È il segno plateale e violento di una democrazia malata grave. Il taglio dei parlamentari fatto in questo modo, non è lo strumento per far funzionare meglio il Parlamento. Perché non cambia nulla se non in peggio. Perché ci saranno ancora due Camere che faranno lo stesso lavoro. Con gli stessi regolamenti assurdi. È lo strumento per eseguire lo “scalpo” dei parlamentari nelle piazze. È il segno di una democrazia malata.
Si dice, sì però le cose non funzionano, sì però i parlamentari non fanno il loro dovere. La casta. La corruzione.
Tranquilli, nulla di nuovo. Lo si diceva anche cento anni fa. La stessa cosa.
In Francia, nel 1876, l’assalto al Parlamento era per la corruzione, gli inciuci di palazzo tra partiti, il clientelismo. In Italia il Corriere “denunciava” l’atteggiamento intollerante ed altero della “politica”, la distanza dai problemi della gente. Loro, che rappresentavano i “padroni” del nord e del sud.
E così la letteratura dell’epoca, Enrico Castelnuovo con L’Onorevole Paolo Leonforte, Federico De Roberto, grande scrittore siciliano, con I Vicerè e Gabriele D’Annunzio ne Le vergini delle rocce esprime il disprezzo per la “ mediocrità” dei parlamenti.
Poi Mussolini trasformò le Camere in Fasci!
Oggi? Speriamo questa sia l’ultima concessione ai 5 stelle, per evitare la Repubblica del PAPEETE. Speriamo.

* già parlamentare

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