L'analisi di Affronte: cambiamenti climatici, perdiamo tempo

Pochi giorni fa, esattamente l’8 agosto, è uscito il nuovo report dell’IPCC. Se ne è parlato, ma di certo non abbastanza. L’IPCC (Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico) è un gruppo di scienziati di 194 paesi diversi, nato sotto all’egida delle Nazioni Unite, che studia il riscaldamento globale e i suoi effetti e periodicamente pubblica dei corposi report che ci aggiornano sulla situazione. Il loro lavoro è talmente meritorio che nel 2007 sono stati premiati con il Nobel per la pace. E’ proprio l’IPCC che, ormai ben più di 10 anni fa, ci disse che un aumento di temperatura globale di oltre 2 gradi avrebbe gravi conseguenze, e anzi sarebbe meglio stare sotto agli 1,5 gradi. Entrambi questi limiti, non a caso, li troviamo nel celebre Accordo di Parigi del 2015.

Il report della settimana scorsa si intitola “Cambiamento Climatico e terreno” ed inizia ricordandoci quanto questa risorsa sia importante per l’uomo - ci garantisce cibo, acqua, salute e benessere - ma quanto sia già sotto la crescente pressione umana. L’uomo impatta direttamente su oltre il 70% della superficie terrestre globale e il cambiamento climatico aumenta questa pressione. Vicino ad un grado di aumento della temperatura media globale – ad oggi siamo già a 0,87 – le conseguenze sono tante. Fra le molto probabili che avvengano c’è l’instabilità dell’approvvigionamento alimentare. Altri rischi sono la scarsità di acqua potabile, l’aumento degli incendi, lo scioglimento del permafrost, e l’aumento della siccità. Le zone aride in condizioni di siccità sono aumentate dell’1% all’anno, dal 1961 al 2013! Il problema è talmente attuale che la percentuale di suicidi fra gli agricoltori australiani è esattamente il doppio rispetto alla media nazionale. E anche negli USA la situazione non è troppo diversa.
Si stima che l'erosione del suolo dai campi agricoli sia attualmente da 10 a 20 volte (nei suoli non lavorati) a più di 100 volte (suoli arati e dissodati) superiore al tasso di formazione del suolo stesso. Il cambiamento climatico aggrava il degrado. La desertificazione avanza inesorabile: nel 2015, circa 500 milioni di persone si sono trovate a vivere in zone che si sono desertificate tra gli anni '80 e gli anni 2000.
Il concetto base di tutto il lavoro è che il terreno subisce fortemente gli effetti del cambiamento climatico, ma il terreno stesso, e il modo in cui lo utilizziamo, sono invece parte della soluzione. Le parole d’ordine sono produzione sostenibile di cibo, gestione delle foreste, conservazione degli ecosistemi, ripristino del territorio, riduzione della deforestazione e del degrado, lotta allo spreco di cibo. Fondamentale la tutela degli ecosistemi che catturano grandi quantità di carbonio, come le paludi, le zone umide, i pascoli, le mangrovie e le foreste.
E il report punta anche molto al modo in cui produciamo il nostro cibo. Un grafico che vidi anni fa e che non riesco a togliermi dalla testa mostra come, se noi pesassimo tutti gli animali della terra, ci accorgeremmo che più della metà (51%) è rappresentato da animali allevati da noi! Cibo per l’uomo: ovini, bovini, suini e pollame. Questo ha un impatto devastante sul modo in cui utilizziamo il terreno, sul consumo di acqua potabile, e gli allevamenti intensivi contribuiscono per oltre il 20% alla produzione di gas serra. Le nostre scelte alimentari possono contribuire a ridurre le emissioni e la pressione sul terreno. Chi vi scrive non mangia carne da oltre 8 anni, ma se anche non volete fare scelte drastiche, almeno riducetene fortemente il consumo. Ne gioverà anche la vostra salute e avrete dato un piccolo contributo per salvare il pianeta.

  • Naturalista e Divulgatore scientifico - ex europarlamentare

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