Ladruncoli in spiaggia a Rimini, più di 100 anni fa

Cultura

RIMINI. Ultima decade dell’Ottocento. Nella ormai “celebre” stazione balneare di Rimini, l’incremento dei forastieri favorisce l’arrivo di frotte di girovaghi: venditori ambulanti, strimpellatori, giocolieri e soprattutto mendicanti. La fastidiosa e petulante presenza degli accattoni solleva un mormorio di disapprovazione da parte dei benpensanti e mobilita le proteste della stampa, sempre ligia a esaudire i desideri dei lettori.
«Questa forma di miseria – scrive La Vita nuova, periodico culturale e di interessi cittadini, il 30 luglio 1898 – ha assunto nel nostro paese proporzioni spaventevoli, abbiamo tutto il giorno lo spettacolo rattristante di uomini e donne grandi e piccoli che si attaccano alle vesti, interrompono il cammino, miagolano e borbottano».
Con il passare delle stagioni la turba dei postulanti crescerà a dismisura e costringerà il Municipio a istituire nel 1909 un Comitato contro l’accattonaggio: una brigata di «coscienziosi cittadini» con lo scopo di distinguere la «miseria vera» dalla «miseria simulata» e quindi «di combattere gli accattoni di mestiere e di assistere i bisognosi» (Il Momento, settimanale radicale, 13 giugno 1909).
Nel calderone anche le canaglie
Nel calderone di questa fauna eterogenea di itineranti non mancano le canaglie. «L’altro dì – riferisce Italia, periodico di orientamento liberale, il 29 luglio 1886 – un giovanotto di distinta famiglia riminese, andato alla spiaggia si svestiva ed entrava nell’acqua. Bagnatosi e tornato alla spiaggia per rivestirsi trovò che gli avevano rubate niente di meno che le scarpe!».
Imprevisti di questo genere sono all’ordine del giorno e anche se di piccola valenza hanno sempre gli onori della cronaca. La pubblicazione di questi episodi, infatti, serve a mettere in guardia gli avventori, dato che l’arenile è completamente sprovvisto di sorveglianza.

Stranezze analoghe, tuttavia, in grado di regalare spiacevoli sorprese ai bagnanti, avvengono anche nei luoghi protetti, per esempio nei camerini della Piattaforma. Per renderci conto fin dove può spingersi l’azione scellerata del furfante, ecco un fatterello stilato con un velo di sottile ironia da L’Ausa, settimanale cattolico riminese, il 15 agosto 1896: «Un tale, sabato scorso, venuto da Ravenna in bicicletta, ha lasciato questa in custodia a un noleggiatore di tali veicoli ed è andato a bagnarsi nel camerino n° 7. Ma finito il bagno, ha sbagliato scaletta ed è entrato nel camerini n° 3. Lo ha visto il battelliere che fa la guardia ed è corso ad avvertirlo dell’errore… ma il bagnante distratto era già tornato in acqua con un portafoglio e con un orologio con catena d’oro. È nato un putiferio. Il portafoglio si è trovato galleggiante sulle onde; l’orologio con la relativa catena si è pescato dai battellieri; il bagnante è stato pescato da due guardie di P.S. che lo hanno condotto a continuare la cura nell’antica rocca della Francesca».
Lo sbadato protagonista di questa avventura è una vecchia conoscenza delle forze dell’ordine di Ravenna, non nuovo a imprese ladresche. Identificato dalle guardie di P.S., risponde al nome di Gustavo Delle Fratte e L’Ausa, che ne dà notizia, lo raccomanda ai bagnanti.
Attenti allo sventurato manolesta
A questo punto, per meglio comprendere l’episodio dello sventurato manolesta nella sua dinamica, due parole su come avviene il bagno dai camerini – ambienti chic, che attirano una clientela ricca e selezionata, che pretende un servizio accurato e sicuro – vanno dette. Allineati ai lati della Piattaforma, a destra quelli delle donne e a sinistra quelli degli uomini, i camerini sono delle cabine-spogliatoio dotate di tutti i comfort: attaccapanni, sgabello, specchio e suppellettili da toilette. Da queste graziose bomboniere si scende in acqua per mezzo di scalette: di solito ci si immerge fino alle spalle; alcuni, per maggior sicurezza, si legano con delle funi; altri, i più spavaldi, lasciano l’appoggio e sguazzano autonomamente. Il servizio di vigilanza e di pronto soccorso è attuato dai battellieri, che si aggirano remando nei pressi della Piattaforma.
Costumi femminili e bagni
Il bagno, in questi luoghi dove si applicano le tradizionali norme igienico-sanitarie di mantegazziana memoria, non è così semplice come appare. A renderlo difficile ci pensa l’abbigliamento, talmente ingombrante da rendere lo svolgimento delle “abluzioni” una vera e propria sofferenza. Il costume femminile, in uso dalle frequentatrici dei camerini, copre interamente la persona lasciando allo scoperto a malapena piedi e mani. Più che di costume da bagno si può parlare di progenitore dello scafandro, un “arnese” che oltre a impedire ogni libertà di movimento non presenta neppure garanzie di sicurezza. Tanto più che il viso, stando alle indicazioni conformi ai regolamenti, andrebbe protetto dai raggi del sole con grandi foulard o berretti ad ampie tese.

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