Ravenna, dopo la tragedia alla Marcegaglia: "Se muore un operaio, agli impiegati non interessa"

Per due giorni lo stabilimento Marcegaglia di Ravenna si è fermato. Dentro quella città in miniatura che si affaccia sulla Baiona tutto era come in silenzio, mentre fuori la voce dei sindacati si è unita a quella degli operai, per ricordare ancora una volta che «la sicurezza non è contrattabile». Due giorni di sciopero sono stati indetti dalle sigle Cgil, Cisl e Uil in seguito alla morte dell’operaio 63enne Bujar Hysa, dipendente della Cofari rimasto schiacciato sotto un coil d’acciaio giovedì mattina. Quando il corpo dell’uomo è stato trovato, subito i lavoratori si sono fermati, dando il via al primo giorno di sciopero, proseguito durante la notte al momento del cambio turno. Ieri un altro giorno di protesta, che si è però chiuso con interrogativi e alcune perplessità. Una è quella sottolineata con non poco disappunto da Ivan Missiroli, segretario provinciale della Fiom Cgil. «Allo sciopero hanno aderito almeno il 90% degli operai – assicura –, mentre tutti gli impiegati ieri mattina sono entrati a lavorare. Gli impianti non hanno comunque girato, ma è stato un brutto segnale, perché evidentemente a loro se muore un operaio non interessa molto». Parole dure, ma che fanno riflettere. I sindacati si aspettavano infatti l’ingresso dell’apparato dirigenziale e soprattutto dei presidianti (addetti alla sicurezza in quegli impianti che non possono essere spenti e che vanno monitorati costantemente per la presenza, ad esempio, di acidi pericolosi), ma certo non quel passaggio ai tornelli della totalità di coloro che svolgono mansioni d’ufficio. Tra l’altro alcuni camion sono comunque entrati dentro i cancelli dello stabilimento, venendo però scaricati da personale, sembra, non di Marcegaglia.

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