La stagione dei live: parla Alex Fabbro, ceo di Hub Music Factory

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A conclusione di una intensa stagione di musica dal vivo, abbiamo parlato con Alex Fabbro, ceo di Hub Music Factory, per tracciarne un bilancio. Hub è una delle maggiori agenzie di spettacolo italiane, che in Romagna organizza molti eventi, soprattutto al Beky Bay di Bellaria Igea Marina, tra cui il Bey fest, uno dei festival punk più importanti al mondo.

«La ripartenza è stata bruciante – ci spiega –, e già da maggio si respirava la voglia del pubblico di ripartire. La prima parte della stagione non ha deluso le attese, con una quantità pazzesca di eventi, tutti premiati da grande folle, mentre agosto, dopo tre mesi di abbondanza, ha segnato il passo».

Pensa che l’eccesso di offerta abbia pesato su questo calo?

«Certamente sì, unita al fatto economico perché, dopo aver speso tanto per gli eventi estivi, è naturale che la gente cominci a selezionare. Credo ci vorranno un paio d’anni almeno per tornare alla normalità».

In questi due anni terribili per il vostro settore, come siete riusciti a sopravvivere, voi e il sistema più in generale? Avete mai pensato che non ci fosse un futuro?

«La paura c’è stata, soprattutto all’inizio, quando abbiamo capito che non sarebbe durata solo qualche mese. Nel primo anno, totalmente fermi, siamo sopravvissuti grazie agli aiuti statali, pochi e tardivi, ma almeno ci hanno consentito di pagare le spese primarie. Purtroppo gli aiuti erano parametrati al fatturato, quindi i piccoli operatori hanno avuto pochissimo, e molti non ce l’hanno fatta. Nel secondo anno siamo ripartiti, con tutte le limitazioni, ed è stato un gesto di cuore, perché molti nel frattempo avevano cambiato lavoro ed è stato difficile trovare il personale. Economicamente non era sostenibile, ma almeno abbiamo fatto lavorare delle persone».

Avete organizzato molte cose in Romagna, tra cui il “Bey fest”: come sono andate?

«Siamo stati un po’ spiazzati dal calo in agosto di cui dicevo, che ha coinvolto il Bey fest. Pensavamo che la Romagna fosse diversa dal resto, perché ha da sempre attirato gente da tutto il mondo, invece è successo lo stesso che altrove. Il Bey fest è stato anche influenzato dal fatto che prima della pandemia si trovavano soluzioni di alloggio in camping o alberghi a prezzi accessibili, soprattutto per i giovanissimi, che sono il pubblico del festival, mentre adesso i prezzi sono lievitati. Siamo comunque contenti della stagione nel suo complesso: abbiamo fatto tanti bei concerti pieni di gente, come Fabri Fibra, Frah Quintale e Rkomi al Beky Bey, e molti altri».

Ci può dare qualche dato numerico?

«Gli altri anni il Bey fest faceva circa ventimila persone al giorno, di cui più di un terzo dall’estero, mentre quest’anno siamo più o meno alla metà, anche a causa delle cancellazioni che abbiamo subito. Oltre ai Tre Allegri Ragazzi Morti, cancellati causa Covid, sono saltate tre band del Bey fest, tra cui i Bad Religion, che erano sicuramente i più attesi».

Lei è quotidianamente in contatto con operatori e musicisti di tutto il mondo, ci può dire come è vista l’Italia, e la Romagna in particolare, come luogo dove venire a suonare? Cosa pensano di noi?

«Io sono soprattutto in contatto con americani e inglesi, e loro sono abituati a un livello di logistica e organizzazione molto più elevato del nostro. Apprezzano però il “contorno”, specialmente il cibo e il calore del pubblico, quindi vengono molto volentieri. Riguardo la Romagna, è molto amata in particolare dalle band californiane, che ritrovano il clima delle loro spiagge».

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