La sfida di Don Antonio Gavinelli

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Martedì scorso la nostra settimanale rubrica ha portato alla luce il grave fatto di sangue avvenuto nella Repubblica di San Marino, lungo la strada tra Borgo e Serravalle, il pomeriggio dell’11 maggio 1921. Nel rievocare l’episodio abbiamo citato anche un salesiano, caro amico della vittima. Bene, quel sacerdote merita di più di un semplice “passaggio” e la pagina che ci apprestiamo a redigere, a lui dedicata, ce lo fa conoscere da vicino. Detto questo, diamo inizio al nuovo brano di storia riminese.

L’Italia è appena uscita dalla Grande guerra: ha vinto, ma ha tutte le ossa rotte. Il Paese è in preda ad una grave recessione economica: non c’è lavoro e i licenziamenti sono all’ordine del giorno. Dimostrazioni, scioperi e scontri sanguinosi si susseguono con un ritmo frenetico e nei cortei la bandiera rossa prende il posto del tricolore. Nelle fabbriche e nelle piazze si parla con sempre maggiore insistenza di rivoluzione: per il proletariato è una speranza, per la borghesia un incubo. La parola rivoluzione affascina, riempie e nello stesso tempo illude molte bocche affamate. C’è anche chi ne parla a sproposito e non si accorge di avviare il paese verso la guerra civile.

In mezzo a questa caotica strategia della protesta, un salesiano di 34 anni sta per iniziare a Rimini una sua “rivoluzione”. Si chiama Antonio Gavinelli, è nativo di Bellinzago, in provincia di Novara, ed è sacerdote dal 1912. Laureato in lettere e filosofia, nei quattro anni di guerra ha svolto il ruolo di cappellano militare. I suoi obiettivi, naturalmente, non sono politici: deve far conoscere alla città il progetto educativo, sociale e religioso di don Bosco. Una sfida non facile a quel tempo.

Il suo compito è smisurato. Le indicazioni che riceve dalle autorità ecclesiastiche per la missione affidatagli sono vaghe e non supportate da un briciolo di aiuto economico: deve istituire una struttura per accogliere gli orfani di guerra e un collegio per poveri ed emarginati. Oltre a queste disposizioni deve organizzare una parrocchia inesistente; creare un’identità di coscienza ad una comunità eterogenea composta di persone senza legami, interessi e amicizia; dare un volto ad un quartiere periferico senza storia e cresciuto troppo in fretta e soprattutto deve offrire un senso alla vita di molti giovani sbandati della zona. La parrocchia che gli è stata assegnata è quella di marina: una zona compresa tra il porto e il Sanatorio comasco (Bellariva), una lunga fascia di litorale completamente deserta all’inizio del secolo, ma in forte espansione edilizia e demografica a partire dalla fine degli anni Dieci. La chiesa, al centro di quest’area, è quella di S. Maria Ausiliatrice, la “Chiesa nuova” per i riminesi, eretta nel 1912-’13, non completamente ultimata e con la canonica ancora in costruzione.

Il salesiano arriva a Rimini i primi di ottobre del 1919. È solo, non conosce il luogo, non ha rendita e mezzi di sussistenza. La gente del posto – in gran parte ortolani, operai e artigiani – è diffidente, persino ostile: politicamente è tutta “rossa”.

A compiere con successo la sua “rivoluzione” il sacerdote impiega sei anni. Nell’ottobre del 1925 la rigida regola della sua congregazione – quella dei Figli di don Bosco – lo destina in un’altra città per un altro incarico. Rimini lo ricorderà come il fondatore dell’“Opera salesiana”, riconoscendogli il merito di aver creato le basi spirituali ed organizzative di una grande struttura religiosa e sociale e di aver insegnato ad una moltitudine di giovani il valore della disciplina e l’orgoglio di appartenere alla famiglia salesiana.

A don Antonio Gavinelli si deve la costruzione del più grande oratorio della diocesi capace di raccogliere centinaia di ragazzi; la realizzazione del campo di calcio, del teatro, del collegio per gli orfani e della scuola elementare del quartiere; l’arredamento, la decorazione e la rifinitura edilizia della chiesa e della canonica, quest’ultima ingrandita e trasformata in istituto per i giovani. A lui, al suo interessamento, si devono la costruzione della Casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice sul viale Tripoli e la venuta delle suore salesiane (Cfr. Cronaca della casa). Ed infine, sempre a questo dinamico prete, va attribuita la pubblicazione di un mensile, Lavoro e preghiera, prezioso documento della graduale ed entusiastica “conversione” dell’intera comunità di marina alla vita di parrocchia.

A testimoniare le difficoltà iniziali incontrate da don Gavinelli nel rapporto con i parrocchiani e la loro adesione alla sua “rivoluzione”, dopo appena tre anni, valga la lettura di uno stralcio di un suo articolo tratto da La sveglia della Romagna del gennaio del 1923: «… Ci pare un sogno! Non più le sassate notturne contro i vetri dell’edificio, non più risuonano al nostro orecchio gli insulti e le canzonacce da trivio … ora [gli abitanti del posto] salutano i giovanetti [del collegio salesiano] e frequentano le nostre scuole, la lezione di catechismo, la chiesa e cantano: Noi vogliam Dio!».

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