Rimini. Il turismo alla prova del Covid: 2020, un hotel su dieci gettò la spugna

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RIMINI. Nella stagione turistica successiva alla prima ondata Covid, nell'estate 2020, a Rimini ha deciso di non aprire il 9,9% degli hotel, uno su dieci. Di questi, la maggioranza erano strutture medio-piccole, con meno di 50 camere, con apertura stagionale (il 12,4% non ha aperto). La migliore "performance" di resilienza l'hanno avuta invece gli hotel annuali e con più di 50 camere (solo il 7,9% è rimasto chiuso). Sono i dati raccolti nell'indagine di Cast -Centro studi avanzati sul Turismo dell'Università di Bologna, Campus di Rimini- presentati oggi nel seminario online intitolato "Il turismo alla prova del covid". Il caso di Rimini, in riferimento alla resilienza dei sistemi di ospitalità, è stato illustrato da Francesco Barbini, del gruppo di ricerca e vice direttore Cast. "L'analisi restituisce un quadro articolato della resilienza degli alberghi riminesi nel primo post Covid", ovvero degli alberghi "sopravvissuti" tra il 2019 e il 2020. "Resilienza non è resistenza- spiega Barbini- per noi è il ritorno allo status quo: dopo lo shock, tanto più un sistema torna allo stato precedente, tanto più è resiliente". L'indagine realizzata da Cast, in collaborazione con Federalbeghi Rimini, ha coinvolto 177 alberghi, e sono stati ritenuti validi 143 questionari. "Tutti gli alberghi riminesi hanno subito lo stesso shock- spiega- per tutti la decisione di riaprire, dopo la prima ondata, si è venuta a innescare nello stesso momento, a fine maggio, quando per molti c'era la speranza che il covid fosse alle spalle". La ricerca evidenzia che il 9,9% delle strutture alberghiere di Rimini non ha aperto nel 2020: più che le caratteristiche legate alla tipologia di gestione- proprietà o affitto- sulla scelta ha contato la stagionalità.

"Gli alberghi annuali hanno aperto tutti- chiarisce il ricercatore- mentre di quelli stagionali il 12,4% non ha aperto". Parimenti, hanno contato i fattori delle dimensioni: sono stati più penalizzati i piccoli alberghi (con meno di 25 camere): il 12,5% non ha aperto per la stagione estiva. Gli hotel medio grandi (più di 50 camere) hanno riaperto con esito migliore rispetto la media, solo il 7,9% ha deciso di tenere chiuso. Stesso trend per gli alberghi uno-due stelle, per cui il tasso di apertura è stato più basso rispetto ai quattro stelle". Un'inversione di tendenza si registra nei dati che riguardano i mesi di apertura decisi dagli albergatori: "L'idea è che fosse più resiliente chi ha mantenuto un numero di giorni di apertura identico all'anno precedente su giugno-ottobre", precisa. L'analisi ha evidenziato che "nessuno ha mantenuto lo stesso livello di mesi di aperture, in questo caso i più resilienti si sono dimostrati gli uno-due stelle, mentre gli annuali hanno avuto una maggiore differenza anche a causa delle chiusure nei mesi di lockdown". Gli altri dati, relativi ai livelli occupazionali, hanno confermato la tenuta maggiore degli hotel medio grandi che hanno perso un lavoratore su quattro, mentre i due-tre stelle hanno dovuto lasciare a casa un lavoratore su tre. E ancora: le restrizioni hanno imposto cambiamenti nei trattamenti offerti agli ospiti per il 26, 4% degli hotel, passando per esempio da pensione completa a mezza pensione o facendo solo bed & breakfast. Uno su quattro non ha confermato animazione e servizi di intrattenimento. Il 21,9% degli hotel ha dichiarato di avere introdotto servizi nuovi tra cui ristorazione esternalizzata, ristorazione in spazi non tradizionali (in camera, piscina, giardino o spiaggia), e naturalmente igienizzazione di camere e spazi comuni.

Tra le motivazioni che hanno spinto a riaprire o meno, l'indagine elenca l'incertezza delle prenotazioni, il rischio di positivi del personale, per alcuni poi i protocolli da applicare hanno rappresentato più causa di chiusura che elemento di certezza. "Sono stati visti come utili solo da grandi alberghi annuali e quattro stelle- chiosa Barbini- per gli altri necessariamente erano come qualcosa di negativo". Non ha inciso in modo determinante sulla decisione il timore di perdere clienti o la responsabilità nei confronti del personale che sarebbe rimasto senza lavoro. Tra i fattori che hanno inciso sulla scelta di aprire invece figura la speranza di attrattività di Rimini: "La maggioranza di chi ha riaperto- chiarisce il ricercatore- contava sul fatto che nel 2020 Rimini, come brand, avrebbe comunque attratto turisti". Nelle conclusioni delll'indagine in definitiva, "i dati sulle riaperture- termina Barbini- suggeriscono maggiore resilienza per hotel annuali e hotel 4 stelle". 

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