La “rìcciola” imolese diventa oggetto di tesi

Imola

Storia di una pasta salata e di una comunità che la sente propria. Ma quella “spirale” friabile di quasi pasta sfoglia al burro, aromatizzata al rosmarino, ovvero la ricciola, ma con l’accento sulla “i”, è davvero imolese? L’interrogativo, o meglio la storia a cui conduce, è diventato oggetto di una tesi di laurea, quella dell’imolese Francesca Andalò, fresca di diploma in “Design del prodotto e della comunicazione” alla Iuav di Venezia. Francesca non è una storica dell’alimentazione, ma racconta una storia. «L’ho fatto con un libro documentario che contiene fotografie attuali sulla preparazione della ricciola e foto storiche che si legano a questo prodotto – spiega la stessa Francesca Andalò –. Ho intervistato i protagonisti imolesi, l’ex pasticcere e fotografo Ermes Ricci che mi ha raccontato l’origine, poi Valentino Marcattilii chef del San Domenico, che da lui l’ha imparata e la propone tutt’oggi nel ristorante stellato, e anche il pasticcere Stelio Dini che nel suo laboratorio imolese la prepara secondo la ricetta dello stesso Ermes Ricci anche oggi».

Origini e mito

«Possiamo dire che la rìcciola la chiamano così a Imola, dove si trova ovunque e dove, così dice anche il sondaggio on line che ho fatto sempre per la tesi, è una delle colazioni preferite degli imolesi. Ma stando a quello che mi ha raccontato lo stesso Ermes Ricci, molto probabilmente la rìcciola non fu inventata proprio a Imola ma in piazza Saffi a Forlì, nella nota pasticceria Flamigni attiva sin dal 1930. Lì, intorno alla fine degli anni Quaranta, il giovane imolese di nome Angelo Ricci, padre di Ermes, lavorò come garzone per alcuni anni, durante i quali, grazie alla sua dedizione e bravura, acquisì subito esperienza e dimestichezza nel mestiere». «Ogni tanto mi portava queste piccole piadine a casa, le prime riccioline che vidi nella mia vita –racconta Ricci nella tesi di Francesca –. Siamo nel 1949-50. Il sabato, quando tornava a casa dalla pasticceria, ci portava tutti gli scarti e ritagli delle paste della giornata, tra cui anche queste piccole riccioline, avvolte in tovaglioli legati nelle quattro punte. Era un giorno di gran festa, che bontà! Ricordo ancora il burro che trasudava dalle paste. Allora si abbondava col grasso, non si badava alla salute». Inventata quindi da babbo Ricci? Chissà, certamente “imparata” a Forlì. Fatto sta che Angelo Ricci quattro anni dopo torna a Imola e apre una pasticceria portando con sé la ricetta della pasta salata in questione. Nel 1953 apre insieme a Oliando Suzzi, la pasticceria Arlecchino in via Emilia numero 250. «È in questo contesto che comincia la commercializzazione della rìcciola presso la riviera romagnola – ricostruisce Francesca attraverso Ricci –...Però quando mio babbo iniziò a distribuirla giù al mare e successivamente a Imola ricordo che eravamo gli unici». Nei primi anni Cinquanta Angelo comincia l’attività di pasticceria a Rimini, si ricava uno spazio presso un forno gestito da altri e lì intensifica la produzione di pasticceria salata e dolce. Decide di distribuire la rìcciola lungo la riviera riminese.

La rìcciola al mare

«Avevo otto anni quando iniziammo la stagione al mare. Avevamo un angolo di un forno a Rimini in Piazza Tripoli, me lo ricordo ancora nonostante siano passati ormai 70 anni. Lo condividevamo con i proprietari che ci lasciavano liberi di produrre quello che volevamo, comprese le rìcciole, e lì facevamo un po’ di pasticceria. All’epoca non c’era una grande richiesta di prodotti diversi, si preparavano quattro o cinque tipi di prodotti sfornati, non di più: bomboloni, bignè con lo zucchero in granella sopra e le famose riccioline, basta. La popolarità della rìcciola è stata ottenuta grazie alla distribuzione lungo la spiaggia da parte di un gruppo di toscani –ripercorre Ricci nella tesi di Francesca –. Non mi ricordo da dove venivano di preciso. Ogni mattina presto si presentavano in quattro o cinque al forno, probabilmente erano una famiglia, facevano rifornimento di paste e le rivendevano lungo la spiaggia». Prima insieme a bomboloni e qualche bibita, poi sono arrivati la frutta caramellata, i canditi.

La ricetta

E la ricciola, o girella come la chiamano a Forlì e forse anche altrove in Romagna? Come si fa? Ermes Ricci dice che la sua ricetta, oggi riprodotta dal laboratorio di via IX Febbraio a Imola, che necessita di solo burro, una lavorazione a strati, per un effetto friabilissimo. A Imola le versioni si sprecano, un paio da provare : quella più soffice di Matteo Coralli del Dulcis, oppure quelle “al tegamino” del forno Dondi di Casalfiumanese, servite ancora calde una ad una.

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