Imola, la Rianimazione torna alla normalità dopo un anno e mezzo di Covid

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Martedì è stata trasferita l’ultima paziente della rianimazione Covid, una signora di 75 anni che si trovava lì da 55 giorni. Da ieri l’Ausl ha quindi cominciato a smontare tutti i teli di separazione delle postazioni di rianimazione Covid e in queste giornate sarà bonificato tutto l’ambiente in maniera tale che da 31 maggio quei sei posti letto tornino in carico alla rianimazione no-Covid, che da lunedì si ricompatta al secondo piano del Dea. Igor Bacchilega è il direttore del Dea e di Anestesia e Rianimazione e spiega come questo reparto ha vissuto questo anno e mezzo di pandemia e cosa succede adesso.

Quante persone sono passate dal vostro reparto in questo anno e mezzo?

«Abbiamo valutato complessivamente più di 170 pazienti Covid in gravi condizioni. I ricoveri nella nostra terapia intensiva sono stati complessivamente 87: 24 nella prima ondata, compresi i 3 pazienti provenienti nella prima fase da Piacenza, 63 nella seconda-terza ondata. Nella primavera del 2020 l’età media dei pazienti ricoverati nel nostro reparto era stata di 70 anni; mentre tra l’autunno scorso ed oggi abbiamo assistito pazienti con età media molto più bassa, 64 anni, da un minimo di 26 ad un massimo di 87 anni. La prima ondata è stata quella più impegnativa».

Ci spieghi meglio cosa avete vissuto.

«La prima ondata è stata quella più intensa psicologicamente: mancavano farmaci, respiratori, i dispositivi di protezione. Non sapevamo nulla e mancava personale. La seconda, dopo l’estate scorsa, è stata la doccia fredda. Speravamo che tutto fosse a posto ed eravamo impegnati nel ripristinare tutto come prima, ma ci eravamo illusi. Sotto Natale abbiamo vissuto i momenti peggiori, quelli di massima pressione. Con la terza da nuova ondata di marzo sono esplosi i casi, abbiamo raggiunto il massimo numero di accessi contemporaneamente. La differenza importante fra maggio e scorso e quest’anno è che abbiamo vaccinato e vediamo già che gli anziani non arrivano più da noi con polmoniti gravi. Abbiamo fiducia nel vaccino».

Da oggi cosa cambia?

«Che i 26 medici e 100 infermieri del reparto possono finalmente tirare un sospiro di sollievo. Poi che da lunedì la terapia intensiva torna normale. Ci saranno 20 posti letto e si ripristinano le attività storiche. I lavori di potenziamento dell’area critica hanno fatto sì che vi siano 4 posti letto che potranno essere per Covid o pazienti in generale ad alto rischio infettivo. Dal primo agosto avremo sei posti letto isolati Covid, due li abbiamo sempre avuti»

In pratica rendete stabile la struttura cosicché nel caso ci sia una nuova emergenza non dovrete di nuovo smontare e rimontare tutto.

«La disposizione per box ci consente massima flessibilità organizzativa nell’allestire e disallestire le aree Covid, modellando i posti letto sulla base dell’afflusso dei pazienti e consolidando la rete con le terapie intensive dell’area metropolitana. Tutti i lavori di potenziamento sono finalizzati ad avere una flessibilità utile per gestire senza dover smontare e trasformare intere aree, sperando di non dover riaprire mai più un reparto Covid».

La pandemia ha consentito anche a voi di aumentare il personale del reparto?

«Abbiamo assunto sia medici che infermieri. Esiste un’ enorme criticità in Italia ed è proprio la carenza di anestesisti rianimatori. Oggi io ho 26 anestesisti, ma me ne servirebbero altri 4 però non si trovano risorsa rarissima e oggi lavorano anche specializzandi sotto supervisione di un tutor. La carenza c’è sempre stata e si era acuita con picco pensionamenti della classe 1950, poi acuita dalla pandemia.

Quali sono stati in questo anno e mezzo i momenti più sofferti?

«La cosa più difficile è stata non poter concedere ai famigliari contatti più vicini coi loro cari malati, noi abbiamo istituito subito le videochiamate ma il Covid oltre a colpire fisicamente ha colpito duramente anche negli affetti, in alcuni casi questa distanza ha reso difficile anche elaborare un lutto. In questi lunghi mesi ci siamo affezionati a tanti pazienti, ogni volta che un paziente usciva, a volte anche dopo 70 giorni, per noi grande vittoria. Alcuni ci hanno scritto lettere bellissime, alcuni ci hanno mandato il video di quando si sono rimessi in piedi o qualche foto, alcuni ci portano la colazione o ci chiamano ancora. Succedeva anche prima, ma con il Covid di più. Conserviamo tutto gelosamente»

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