La recensione: Ludovico Einaudi a Ravenna

Negli ultimi difficili anni, nonostante tutto, Ravenna festival non si è mai fermato, trasformando i cartelloni, modificando le modalità e i luoghi di spettacolo, soprattutto adottando prima di tutti quelle misure che hanno consentito di continuare sempre a praticare musica e teatro e danza dal vivo. Ma quando, mercoledì sera, l’anteprima della XXXIII edizione, con il concerto di Ludovico Einaudi ha riportato il pubblico ad affollare il Pala De André, l’emozione era palpabile.

Unico residuo dettaglio le mascherine (rigorosamente ffp2), ma l’aria di festa, l’entusiasmo che animava il pubblico attraversava come un vento leggero la lunga fila. Incolonnati per guadagnare l’entrata – a dire il vero come qualche mese fa in questo stesso luogo trasformato in centro vaccinale – il tempo sembrava sospeso, tanto che, per riuscire a fare entrare tutti i 3500 accorsi ad ascoltare uno dei musicisti più amati dei nostri giorni, il concerto è iniziato con quasi mezz’ora di ritardo. 3500, a riempire la sterminata platea e le alte gradinate: numeri e un accalcarsi che mettono allegria! Soprattutto poi se gli artisti in palcoscenico rispondono pienamente alle aspettative del pubblico: e a giudicare dagli applausi lunghissimi, dalla vera e propria standing ovation che ha salutato il commiato di Einaudi, non si può certo dire che così non sia stato.

Del resto, si tratta di una vera e propria “star”: nessuna parola, come sempre, se non in ultimo, prima dell’unico bis, il brano che dà il titolo all’ultimo disco, “Underwater” e a questo tour: una pagina “che in questi tempi associamo alla pace”, ha detto sempre sedendo al pianoforte e invitando a sostenere Emergency, presente in più punti all’esterno, proprio su sua precisa indicazione. Il pianoforte, amplificato con quella cura “felpata” che è anche il “marchio” soprattutto dell’ultimo Einaudi, è stato l’indiscusso protagonista delle lunghe e sospese “riflessioni” dell’artista che, in solo, per tutta la prima parte, inanellando una dietro l’altra proprio le tracce dell’ultimo disco, ha indugiato sui tasti, su minuscoli spunti tematici e ritmici, senza l’impeto regolare e sperimentale del classico minimalismo, piuttosto come guardandosi dentro, al tempo del respiro.

Brani lievi, apparentemente fatti di niente, un poco tristi e malinconici, eppure capaci di catturare il pubblico, qui come nelle maggiori sale d’Europa, con milioni di dischi venduti e streaming e visualizzazioni da non poterli neppure contare. Musica che esprime lo spirito dei tempi, e che in concerto è arrivata agli esiti più compiuti quando al pianoforte si sono uniti Redi Hasa al violoncello, Federico Mecozzi al violino e alla viola e Francesco Arcuri alle percussioni e all’elettronica, giovani musicisti di talento, compagni ideali nel tracciare le infallibili geometrie emotive dell’autore.

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