La recensione: Denio Manfredini a Novafeltria con "Divine"

La sua voce veicola le emozioni sulla pelle dello spettatore, le parole arrivano come saette e i segni grafici dei suoi disegni che si susseguono quale fondale parlante del palco, aprono squarci nell’ascolto. È la storia di Divine narrata dal maestro del teatro contemporaneo Danio Manfredini, autore, poeta, attore dal talento e dalla potenza rari, schivo e amatissimo dalla critica e dal pubblico che non dimentica i suoi capolavori e la sua arte plurisfaccettata. Era tempo che qui in Romagna non lo si vedeva in teatro e se è tornato è grazie a Isadora Angelini e Luca Serrani del Teatro Patalò, ora artefici della riapertura del Sociale di Novafeltria.

Il lavoro è liberamente ispirato al romanzo “Nostra signora del fiori” di Jean Genet ma qui si va oltre a quella storia, si va in un micro mondo, vi si entra dentro e se ne viene pervasi. Lui stesso lo dichiara. «Incontravo le città, le persone, mi intrecciavo con loro, per finire spesso col dire: va bene, per oggi basta, chiudo la porta, ne ho abbastanza. Allora veniva il momento di aprire le pagine di quel libro e di trovare le parole liriche, poetiche, da sovrapporre a una realtà incontrata, troppo cruda, troppo nuda, per essere vista così com’è».

Sì, il suo Divine scava dentro, ha la forza e la magia di una narrazione epica, il suo racconto di parole e immagini, che lui stesso ha dipinto alla stregua di uno storyboard cinematografico, ha la potenza di entrare nella carne e di lacerarla. Manfredini riscrive con la parola della poesia le storie della fragilità umana, si fa corpo per i corpi e si fa voce per le voci dei personaggi, svelando le ferite aperte di quei mondi interiori che vivano all’unisono la disperata ricerca di sé. E mentre soli cercano il senso della loro vita, si incontrano e si aprono al dolore altrui, lo condividono e coralmente lo affrontano. E l’artista assumendolo in sé lo porta a noi, come la consegna di un testimone che vuole lasciarlo in dote. Manfredini ci fa scoprire che c’è più solidarietà tra i figli che la società ha emarginato piuttosto che in quelli che ne sembrano integrati e che è grande il loro amore per la vita anche quando gli volta le spalle e ne sono consapevoli fino all’ultimo giorno, quello che li vede spegnersi nella carne ma non nell’anima. Da sempre l’artista cremonese si è fatto carne e voce di una umanità in transito. Con Divine ha preso per mano il pubblico e lo ha condotto poeticamente dentro l’universo di chi è costretto a vendersi per vivere senza però rinunciare mai neppure un minuto alla propria sensibilità e intensa umanità.

Manfredini si dichiara oggi un po’ più distante dai circuiti teatrali, è concentrato su progetti di grande impatto, ma la sua voce si leva contro le difficoltà di un sistema e di meccanismi legati alla scena che non aiutano anzi allontanano. Ne ha parlato a latere dopo aver regalato una prova indimenticabile, un dono prezioso, un’occasione magica che spinge a chiedere a gran voce il suo ritorno. E una speranza c’è perché esiste continuità nel rapporto con Novafeltria, in quanto fino al 29 al Sociale è in atto la sua residenza creativa.

Il progetto è condiviso da Teatro Patalò, L’arboreto Teatro Dimora di Mondaino e Comune di Novafeltria. Intanto riprende il lavoro sul campo di concentramento di Auschwitz- Birkenau che ha accompagnato questi ultimi anni del suo impegno artistico.

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