La ravennate Elena Sartori premiata con il Franco Abbiati

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Il premio “Franco Abbiati” della critica musicale italiana, uno dei più prestigiosi in Italia, ha visto fra i protagonisti dell’ultima edizione una delle artiste di punta del panorama musicale ravennate: Elena Sartori, organista e direttore, docente al conservatorio di Bolzano. Sartori è stata premiata nella sezione “Premio Abbiati del disco”, insieme all’Ensemble Allabastrina, per la registrazione dell’opera “Orfeo” di Luigi Rossi, «per la coraggiosa e accurata riproposta in prima registrazione integrale dell’Orfeo parigino di Luigi Rossi, con le sue molteplici sfaccettature che trascolorano dal comico al tragico, e con il coinvolgimento di giovani interpreti che hanno reso fresca e viva una vicenda complessa e secolare».

Sartori, cosa rappresenta questo riconoscimento?

«È stata un’emozione fortissima, un grande riconoscimento e l’incontro con Angelo Foletto, presidente dell’Associazione dei Musicologi Italiani, si è svolto all’insegna del sorriso e della gratitudine. L’Abbiati è un premio molto importante, ormai quarantennale, intitolato a un grande musicologo bergamasco. Da tre anni Foletto ha pensato di aprire anche un premio Abbiati del disco, ed è stato un grande piacere essere fra i primi artisti, in fondo, a vincere questo premio».

Un disco frutto di un progetto importante: ce ne parla?

«Ci tengo anzitutto a ringraziare i produttori che lo hanno reso possibile, la Fondazione dei Monti Uniti di Foggia e la nostra etichetta, Glossa. Luigi Rossi era di Torremaggiore, una piccolissima frazione del foggiano. E nel 1600 in Puglia, all’ombra della scuola napoletana, c’era una scuola musicale viva, importante. Questo grande compositore poi andò a Roma, dove fece carriera, poi la corte francese di Luigi XIV lo volle a Parigi per fare un grande spettacolo. Glossa è una casa discografica spagnola e tedesca: abbiamo cominciato il nostro percorso artistico con loro nel 2017 con un disco che ha vinto tanti, tanti premi fuori dall’Italia. La cosa che ci fa piacere è che questo “Orfeo” invece abbia vinto un bel premio anche nella nostra Italia».

Uno dei temi a lei cari è la musica al femminile: che ruolo ha nel suo lavoro?

«È un tema per me molto importante. A mio avviso la rivalutazione del modo di vedere la donna al giorno d’oggi è ancora un problema emergenziale. Nel 2017 abbiamo iniziato il nostro percorso con la “Alcina” di Francesca Caccini, del 1628, la prima opera lirica scritta da una mano femminile: un grande capolavoro, sconosciuto, un po’ un corrispettivo di Artemisia Gentileschi per la pittura. Siamo rimasti davvero colpiti e molto sorpresi dal successo internazionale di questo disco e quindi Glossa ci ha proposto di pensare alla realizzazione di “Orfeo” di Luigi Rossi».

Anche qui ricorre il tema del femminile?

«“Orfeo” è una vicenda complessa, però i tre protagonisti sono tutti rappresentati da voci femminili: era la voce della donna, e in particolare il registro del soprano, che il pubblico voleva assolutamente ascoltare. L’opera sviluppa un intreccio drammatico amoroso, ora felice ora disperato, tra questi tre grandissimi ruoli di fatto femminili. Abbiamo raccolto questo testimone con una grafica particolare, rosa come la pelle, ispirata all’immagine del nudo femminile che ci ha aiutato a tratteggiare una sensazione fortemente femminile, anche erotica, la forte sensualità che si sente in questa musica».

A cosa sta lavorando?

«Stiamo adesso lavorando a un’operazione simile, con la Cassa di Risparmio di Firenze: il Seicento toscano è un po’ come una bella palude in cui sono caduta dentro con ”Alcina” della Caccini. Abbiamo scoperto tutto un mondo: fra il 1625 e il 1648 la corte dei Medici di Firenze è stata retta tutta da donne, un potere completamente matriarcale, e Francesca Caccini ne è il primo frutto. Poi sono arrivati gli anni Cinquanta del Seicento, ci sono state altre conquiste e altri matrimoni, e le cose sono di nuovo virate al maschile. Ma a me interessa molto studiare quei vent’anni e abbiamo trovato un’altra opera molto interessante completamente inedita che si chiama “La Flora” di Marco da Gagliano, un grandissimo nome del barocco toscano che ci sta riservando delle sorprese favolose. Debutteremo a “Early Music Vancouver” il prossimo anno».

Progetti a Ravenna?

«Sto lavorando al Festival d’organo di San Vitale 2022, l’edizione numero 61: la 60 è stata proprio bella, tutta dedicata alle donne, e abbiamo avuto un feedback davvero positivo. Personalmente non credo che si debbano porre barriere fra cultura e turismo, trovo questa una posizione snob che insterilisce. Io vado avanti, dopotutto, cercando di rivalutare il Festival di San Vitale anche come risorsa turistica. Il mio punto di vista è questo: porte aperte e tirare tutti dalla stessa parte. E anche tanto sorriso: adesso abbiamo tutti bisogno di un po’ di leggerezza e di apertura. Il mio sogno, inoltre, resta quello di dirigere almeno una volta nel teatro della mia città, un’opportunità che finora non mi è mai stata data, e questo mi procura un profondo dispiacere».

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