La pandemia? Può anche produrre arte e sorrisi

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Il “Tapetum lucidum”, il tappeto volante di Stefano Tonti, graphic designer che dopo diversi anni trascorsi a Milano e Barcellona vive e lavora a Rimini, principalmente attivo a favore di istituzioni ed eventi artistici e culturali, appare, a giudizio di Massimi Pulini, come «una filosofia della visione, il recupero della struttura semantica più nitida e primaria delle cose. Le opere di Tonti risultano, alla fine di questo percorso, dense e indivisibili, come certi numeri chiamati per questo “primi”».

“Out of the blue”, le mascherine rielaborate, “Primavera 2020”, sono alcuni titoli dei lavori grafici con cui Tonti si è posto a confronto con il tema della pandemia. Una specie di piccolo regalo che l’autore ha voluto fare ai riminesi «per alleggerire con un sorriso – vedo che l’effetto sugli spettatori è questo – i momenti non facili che stiamo vivendo».

Tonti, a cosa sono dovuti questi suoi collage-souvenir che sembrano immagini dalla vocazione sottilmente, ironicamente narrativa?

«Partirei appunto dalla definizione di “tappeto volante” con la quale “Aracne”, rivista d’arte online, introduce la mia rubrica visuale che contiene quelle grafiche: l’approccio ha spesso una componente giocosa e ironica, credo sia necessario per sdrammatizzare un po’, ma anche per essere più incisivi. La mascherina è l’oggetto simbolo della pandemia, entrato nelle vite di tutti; quello che rappresenta ci è purtroppo familiare, e quindi più sorprendente un suo “cambio di destinazione”. Ho cercato di risarcire un po’ dell’espressività che la mascherina toglie ai nostri volti, con un’altra forma di espressività, quella creativa».

Che cosa può regalare la creatività, nonostante la paura, in questi momenti non facili?

«La creatività è la capacità non tanto di inventare dal nulla, ma di saper osservare la realtà da angolazioni inesplorate, scoprendovi significati e relazioni che aprono vie nuove. Trovare il mare in una mascherina, oltre a regalare un momento di stupore e spero un sorriso, è anche un modo poetico di ricordare che il nostro spirito sa vedere oltre i limiti e le difficoltà del momento. È un invito a guardare, come cantava De André, “un po’ più al largo del dolore” che stiamo tutti vivendo».

In che modo, come ha scritto Massimo Pulini, con il suo lavoro grafico giunge «a calibrare il senso del nostro sguardo attraverso forme e simboli che sono una distillazione di significato e sentimento»?

«Mi soffermo sul verbo calibrare: il calibro è un versatile strumento meccanico che ci dà la misura di lunghezze e profondità, dei pieni e dei vuoti, delle distanze; tutte categorie fisiche e insieme esistenziali. Uno sguardo ben calibrato sul mondo sarà uno strumento di misura e conoscenza altrettanto prezioso. Come avviene per le forme, anche indagare sulle parole spesso apre delle vie, e si scopre che calibro deriva dall’arabo “qālib”, che significa matrice, stampo, forma di riferimento; metaforicamente, un archetipo dal quale discendono le forme della realtà. Ecco, il senso del nostro sguardo credo possa essere trovare sintonie tra le forme esteriori e quelle interiori, simboliche, mettendoci in dialogo col mondo».

In che modo attua la pratica della grafica anche come elemento identitario della città?

«Tra i diversi loghi e immagini grafiche progettati per la città di Rimini, quello per la Domus del Chirurgo mi pare l’esempio più lineare per rispondere alla domanda. Il logo della Domus è stato estrapolato dalle geometrie di un suo mosaico, dove avevo notato un semicerchio chiuso a sinistra da una linea verticale. “Estratta” così com’era dal mosaico e proposta come logo, la stessa forma è diventata la D di Domus, mantenendo il suo disegno a tessere nere per evidenziarne la provenienza. Quindi un logo “ready made”, già presente nella città da quasi due millenni: si è trattato solo di saper osservare e interpretare in chiave attuale uno dei molti segni che la città stessa ci propone».

Qual è il punto di arrivo della grafica?

«È la superficie visibile, ma la paragonerei alla copertina di un libro, una sintesi visiva sotto la quale si trova una lunga storia... perché, come scriveva von Hofmannsthal, “la profondità va nascosta. Dove? In superficie”». www.stefanotonti.it

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