Le «tremende giornate» del marzo del ˋ77 entrano nella pelle. Sono quelle che hanno segnato la «perdita dell’innocenza» della Bologna alma mater e dotta. Quelle culminate nell’uccisione, l’11 marzo, dello studente Pier Francesco Lorusso, militante di Lotta Continua, 25 anni. Quei giorni, quel clima, quei tempi ribollenti di rabbia e ansia di rivoluzione traspirano dalle pareti delle stanze della galleria di Palazzo Albergati, a Bologna, dove è allestita la mostra “Andrea Pazienza. Fino all’estremo” (fino al 26 settembre 2021), dal titolo originario dell’ultimo potentissimo lavoro dell’artista, “Gli ultimi giorni di Pompeo”.
Sotto le due Torri sono tornate le tavole, i disegni, le illustrazioni e i fumetti di Paz: classe 1956, morto il 16 giugno 1988 a Montepulciano ad appena 32 anni: oggi, 23 maggio, ne avrebbe compiuti 65. Fu grande narratore, attraverso l’illustrazione e il fumetto, di istinti, sogni e inquietudini di una generazione. Della Bologna degli “anni di Piombo” – dove era arrivato dalla Puglia per iscriversi al Dams e aveva trovato terreno fertile per fare esplodere il proprio genio creativo – seppe fornire un «ritratto così penetrante», come afferma Antonio Faeti in uno dei testi che accompagnano l’allestimento. Illuminano il percorso e quegli anni anche le parole della giornalista Silvia De Santis, ad accompagnare una delle foto di Enrico Scuro, «il fotografo del movimento del ‘77 bolognese»: ritrae Umberto Eco, già giovane professore che «chiede la parola alzando il dito» nel corso di una assemblea durante l’occupazione dell’università.
Ci sono tutti i pilastri della produzione artistica di Paz, dalle tavole di Pentothal a Zanardi a Pompeo. Ci sono le tavole in bianco e nero ma anche illustrazioni a colori – Betta sullo squalo, Corteo di Bologna – in un percorso che procede a ritroso nel tempo. Quasi una “eresia”.
“Gli ultimi giorni di Pompeo”, vetta artistica dal valore testamentario, nei disegni originari a pennarello sui fogli a quadretti, “dialoga” con il ciclo della Via Crucis di Giandomenico Tiepolo, figlio del più noto Giambattista, proveniente dalla chiesa di San Paolo a Venezia. Una scritta campeggia: «Ora che vivo in campagna i ragazzi di qui mi chiamano “vecchio Paz” e, faccio per dire, ho ventinove anni». Ritratto di gioventù bruciata, a rileggere oggi. Ma il genio resta, e non brucia. Ancora un ritratto, questa volta per immagine: è il disegno di Zanardi per la copertina della rivista Frigidaire dell’ottobre 1981. «Zanardi il delinquente, Zanardi il lupo, il bullo, lo studente».
E i curatori compiono qui un balzo che estende la narrazione a ciò che è venuto prima e dopo e in fondo a tutti i possibili irredenti “domani”. In alto, sulle pareti, ad incorniciare le tavole fumettistiche, ecco le foto in grana bianco e nera dei “mostri” dello stupro del Circeo (1975) ed altri «squarci ripugnanti» di fatti veri e vittime vere. Perché nell’invenzione di Paz, in quel cattivo con il naso più famoso dei fumetti, sono contenuti, fino all’estremo appunto, anche gli «animali urbani» venuti dopo, anche quelli di oggi. E la cronaca anche di questi giorni ce ne offre, purtroppo, conferma.
Accostamenti fortemente voluti dai curatori della mostra Stefano Piccoli e Mauro Uzzeo di “Arf! Festival di storie, segni & disegni” e dalla moglie di Pazienza, Marina Comandini, per questo allestimento che riporta sotto le due Torri il lavoro del grande fumettista 24 anni dopo la mostra antologica a lui dedicata nel 1997.