"La metamorfosi" di Lenton al teatro Bonci
Fra letteratura e novità di visione scenica si apre la stagione di prosa del teatro Bonci di Cesena; da stasera alle 21, con repliche fino a domenica 17, sipario sulla prima nazionale di “La metamorfosi” di Franz Kafka (1883-1924), produzione di Emilia-Romagna Teatro Fondazione, nell’adattamento del regista scozzese Matthew Lenton.
Come è arrivato, Lenton, alla decisione di mettere in scena “La metamorfosi”?
«Quando a vent’anni lessi il racconto di Kafka non mi entusiasmai – ammette il regista –. Qualche anno fa, conversando con Claudio Longhi, allora direttore di Ert, mi parlò dei “tempi interessanti” secondo il filosofo Slavoj Žižek e, come testo rappresentativo, tornò “La metamorfosi”. Rileggendolo alla luce del nostro presente e di una mia età più matura, l’ho sentito giusto».Ci sono differenze rispetto all’allestimento che ha debuttato a Glasgow?
«Un cambiamento artistico riguarda il focus narrativo; nella versione scozzese Nico Guerzoni-Gregor recitava in italiano, in una lingua diversa da quella degli altri attori, creando pertanto un forte impatto. In questo adattamento l’italiano è la sola lingua dominante, abbiamo perciò riflettuto su come tradurre e adeguare la produzione a un contesto italiano».Come affronta l’idea di cambiamento così sconvolgente per Gregor e famiglia?
«La trasformazione per me più interessante è quella che accade intorno, nelle altre persone, intrigante più di qualsiasi trasformazione fisica. La vera metamorfosi è quella della famiglia di Gregor, tante piccole decisioni che conducono allo sterminio finale. Il figlio non può controllarle e si trova intrappolato».Come dipinge la famiglia che non accetta la metamorfosi del figlio?
«Non è una famiglia cattiva, non accetta la diversità per paura; ma alla fine deve assumersi la responsabilità delle azioni. Come esseri umani dovremmo tutti chiederci come reagiremmo noi, se si presentasse questa strana forza in casa nostra. Se estendiamo il concetto di trasformazione alla nostra realtà, l’insetto Gregor potrebbe essere un rifugiato che raggiunge i nostri lidi e viene respinto, ma anche un figlio e una figlia che decidono che non vogliono più essere tali, ma qualcosa di diverso. Credo che la nostra abilità stia nel riuscire a empatizzare con la situazione degli altri».Come risolve la trasformazione in insetto del protagonista?
«Con due Gregor sul palco, quando il primo si risveglia trova qualcun altro nel suo letto, gli somiglia fisicamente ma non è più lui. Il primo si rende conto che la sua famiglia non riesce più a vederlo né a sentirlo, ma può vedere e ascoltare solo il secondo Gregor dal quale è però orripilata. Il figlio originale è quindi un testimone di come la sua famiglia tratta l’altro; a poco a poco il secondo acquista sempre più forza, mentre il primo si indebolisce».Che tipo di impianto scenico e luminoso presenta lo spettacolo?
«Privilegio uno spazio “poetico” con riferimenti alla stanza di Gregor che si trasforma però in molto altro, diventa uno spazio astratto. Nel teatro mi piace l’oscurità, mi permette di scolpire e controllare meglio lo spazio rispetto alla luce; così pure amo i dipinti di Caravaggio molto più di quelli di Monet. L’oscurità mi rimanda anche al cinema arte che ho sempre amato tanto; di fatti sono diventato un regista teatrale per sbaglio».Info: 0547 355959