La malattia può cancellare le parole ma resta la musica (terapia)

NOVAFELTRIA. Mi occupo del progetto di musicoterapia a Novafeltria dal 2017. In questi anni i signori dell’Amarcord Caffè si sono abituati a vedermi arrivare carica di “bagagli”: trolley e borse coop pieni di strumenti, chitarra, zaino.
Il Caffè apriva alle nove e un po’ alla volta ci mettevamo seduti al tavolo. Nell’attesa di iniziare le attività ci si prendeva un caffè o un tè e si chiacchierava, si condivideva, si scherzava. Il romantico Pietro raccontava spesso del periodo del lavoro nelle miniere e di quando ha dovuto emigrare in Francia per lavoro. Mentre racconta i suoi occhi si riempiono di lacrime. Dorina è più “gossippara”, se vuoi sapere ciò che succede in paese, puoi tranquillamente chiedere a lei. È molto attenta agli altri e cerca di aiutarli. Con Rino, a cui piacciono le carte da gioco, si metteva ogni tanto a provare a giocare: lei insegnandogli le regole, lui andando avanti con le sue, con il risultato di una “briscola” alternativa. Poi c’era Renata silenziosa e riservata. Faceva la sarta, e si vede, perché nei lavori manuali mantiene ancora quel “piglio”, quella precisione tipica di chi ha svolto quel mestiere per tanti anni. Anna è minutina, tende a starsene in disparte, sembra non partecipare ma invece è molto attenta e se ti avvicini e le parli, allora lei comincia con la sua vocina a raccontarti della sua vita.

E’ un bel gruppo, solidale, dove chi ha meno difficoltà si mette a disposizione di chi fa più fatica.
Dopo quel momento conviviale ci alzavamo e spostavamo nella zona adibita alla musicoterapia. Al centro del cerchio gli strumenti musicali: a seconda dell’incontro e di quello che succedeva potevano essere usati o meno. Mirella gradiva molto questo momento. Prima ancora di sedersi prendeva lo xylofono verticale di legno e quando suonava cambiava espressione, si rasserenava. Il modo di suonarlo rifletteva il suo stile e il suo modo di parlare. Dorina, alla quale piace parlare e raccontare, aveva individuato nello xylofono classico lo strumento che per le sue caratteristiche, racconta e narra. Solo che anziché le parole lo fa con le note. Per Renata il punto di riferimento era uno djambè piccolo che lei suonava con il suo tocco delicato, delicato come il suo essere. Annarita sceglieva il cembalo: con quello esprimeva ciò che con le parole non riusciva. Su determinati ritmi talvolta si metteva a danzare sulla sedia, guidando, senza aver bisogno di parole, la musica degli altri. In un insieme di ascolto, attesa, rispetto dei tempi dell’altro, creavamo le nostre musiche e le canzoni dei ricordi.
Per alcuni di loro questo era un momento importante: attraverso canzoni, suoni e musica potevano esprimere ciò che con le parole facevano fatica; potevano contattare quelle parti di sè di solito nascoste dalla malattia; era un momento di scarico delle e dalle tensioni; rappresentava un spazio ulteriore di socializzazione, di condivisione di ricordi ed emozioni.

Poi è arrivato il Covid e abbiamo dovuto interrompere la nostra quotidianità. Ma come disse Juliette Alvin, una violoncellista e pioniera della musicoterapia “adattarsi o perire” e, come fa l’acqua quando incontra un ostacolo, noi abbiamo cercato di aggirare il nostro e trovare un modo alternativo per continuare a vederci .
Per quanto riguarda la mia parte, in seguito a diverse valutazioni ho deciso di creare dei video tutorial (che invio settimanalmente ai familiari) che si avvicinassero il più possibile alla musicoterapia dei nostri incontri, usando la più universale e comune delle esperienze musicali, connessa alla voce e al raccontare: la canzone, e nello specifico le canzoni dei ricordi. Per renderli più interattivi possibile mi sono aiutata pensando ai “nonni”, come li chiama mio figlio, immaginandomi i loro volti, la tessitura delle loro voci, il loro tempo, il modo di parlare come se fossimo ancora tutti insieme nel cerchio.

I familiari ogni tanto mi inviano video che mostrano i propri cari che cantano con me. Donino è un signore sempre molto impegnato, anche quando veniva al Caffè non rimaneva per molto tempo, ma ogni tanto si fermava per qualche canzone e così fa adesso davanti alla televisione, interagendo con me e cantando. Annarita, con la quale ogni tanto ci sentiamo anche in videochiamata, dice che è stanca di stare in casa, vorrebbe uscire, canta Marina uno dei brani che le piacevano tanto. La figlia di Anna mi scrive che la mamma, che lei ha sempre visto poco partecipe, canticchia canzoni come Reginella Campagnola, Tanto pe’ Canta’ e Piccolissima Serenata, raccontandole che Reginella Campagnola la cantava “da ragazzina quando andava a prendere l’acqua a piedi distante con l’anfora sopra la testa”. Anche per la figlia quelli delle canzoni sono momenti di spensieratezza. C’è Pietro che ogni giorno chiede al figlio quando riapre il centro e che quando mi vede e canta le canzoni si commuove, come faceva il venerdì.

Sono sincera, mi mancano e mi mancano i racconti, le loro voci, le risate, cantare e suonare insieme. Torneremo a farlo, come e quando non lo so, ma intanto con questi incontri a distanza stiamo costruendo un ponte tra il passato e il nuovo futuro.
*Musicoterapeuta e Psicologa

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