La Fernanda Wittgens del regista Maurizio Zaccaro su Rai1

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«Quando crolla una civiltà e l’uomo diventa una belva, chi ha il compito di difendere gli ideali? Sono i cosiddetti “intellettuali”. Sarebbe troppo bello essere “intellettuale” in tempi pacifici e diventare codardi, quando c’è pericolo». A sostenerlo è Fernanda Wittgens, a cui è dedicato film di Maurizio Zaccaro “Fernanda” in onda il 31, ore 21, su Rai 1, donna dalla straordinaria forza d’animo che le permise di salvare opere d’arte e vite umane. «Combattevo per la dignità e la salvezza delle persone con la stessa determinazione che mettevo nel salvataggio delle opere», queste le sue parole. Fu infatti artefice della fuga in Svizzera del professore ebreo Paolo D’Ancona, della sua famiglia e di tanti altri ebrei che non conosceva. Per questa ragione fu arrestata nel 1944 e solo col finire della guerra ebbe fine la sua reclusione. Una via a Milano porta il suo nome, un albero le è stato dedicato nel Giardino dei Giusti ma se oggi questo nome forse non ha un richiamo immediato, nel mondo della storia dell’arte resta vivo. Perché Fernanda Wittgens, è stata la prima donna a rivestire l’incarico di Sovrintendente della Pinacoteca di Brera, figura importante non solo per Milano, città dove è nata nel 1903 e dove si è spenta nel ’57. Diresse Brera nel periodo più difficile, durante il secondo conflitto mondiale e per la sua competenza, il prestigio e la benevolenza è stata insignita di tanti riconoscimenti.

Il film tv diretto dal regista milanese, santarcangiolese di adozione, Zaccaro, in 100 minuti rende omaggio alla storia di questa donna, della sua affermazione, del suo impegno civile, del sacrificio per l’arte e per le vite altrui, colmando un vuoto di memoria.

Zaccaro perché ha scelto oggi di portare sullo schermo Fernanda?

«Perché oltre alla vicenda personale di questa coraggiosa donna, autentico esempio di giustizia – e questi due tratti fanno di lei un modello da seguire – il film può diventare un’occasione per raccontare come l’arte e la bellezza siano le uniche armi possibili contro guerre insensate, orribili stragi e devastazioni. “L’arte è una della più alte forme di difesa dell’umano” diceva Fernanda. Esistono fra le pieghe della nostra storia eventi nascosti che per il loro straordinario impatto umano muovono ancora grandi emozioni. Appunto per questo il primo fra i motivi che deve rendere credibile non solo l’interpretazione della nostra protagonista ma anche quella di tutti i personaggi che man mano interagiscono con lei non è solo la ricchezza di informazioni e aneddoti, ma soprattutto la commistione di generi per raccontare la nostra memoria, che altrimenti non esisterebbe se non nella sua forma stinta dal tempo, sfocata. In questa confluenza di stili, Fernanda assume un significato universale, svelando il disegno a cui la protagonista è stata predestinata: salvare non solo gli inestimabili tesori d’arte ma anche la vita di tanti ebrei, perseguitati dopo le leggi razziali del ’38».

Come descriverebbe il suo film?

«Una storia di affermazione femminile, Resistenza, impegno civile, sacrificio per l’arte e per le vite altrui. Fernanda è stata tra le prime donne in Italia a ricoprire un ruolo così prestigioso. Fu assunta da Ettore Modigliani, direttore della Pinacoteca e quando questi viene sollevato dall’incarico in quanto antifascista, Fernanda prese il suo posto. Con l’entrata in guerra, il suo imperativo fu salvaguardare le opere dai bombardamenti e così centinaia di persone destinate ai campi di sterminio che contribuì a far espatriare. Tradita, fu arrestata e condannata a quattro anni di carcere».

In che modo ha voluto rendere il racconto?

«Per fare un film su di lei non bastavano le informazioni, anche se ben dettagliate che abbiamo trovato, occorreva adattare con originalità e un pizzico di immaginazione l’intera vicenda legata a un periodo ormai lontano, quasi cancellato. Per questo oggi, in un’epoca altrettanto buia e drammatica, riportiamo fra noi Fernanda. Del suo esempio l’umanità ha un estremo bisogno».

Chi interpreta Fernanda? E chi sono gli altri protagonisti?

«Matilde Gioli è Fernanda affiancata da tante altre attrici e attori di incommensurabile talento, come Eduardo Valdarnini, Valeria Cavalli e Silvia Lorenzo, Francesca Beggio, Beatrice Barillà, Lavinia Guglielman, Maurizio Marchetti e tanti altri ancora. A tutti, a pochi giorni dalla messa in onda, va il mio affetto e la mia riconoscenza».

Come ha lavorato con Matilde?

«Siamo stati insieme poco, giusto il tempo di girare “Fernanda” ma abbastanza per capire il suo smisurato e freschissimo talento che mi ha letteralmente sorpreso, come il suo coraggio nell’aderire a una figura così complessa, donna forte, trascinatrice, una “valchiria” come la definì Greppi, primo sindaco di Milano. Come la vera Wittgens, Matilde è la più avventurosa e libera delle attrici che ho incontrato negli ultimi tempi. La sua naturalezza è una dote rarissima quanto preziosa così la sua versatilità».

Lascia molto spazio ai suoi attori?

«La cosa che amo di più del lavoro sul set è essere sorpreso dai miei attori perché se la loro interpretazione è spontanea accade sempre una magia. Grazie al loro contributo l’immaginario esce dal teatrino dell’inquadratura per creare punti di vista inediti. Ecco perché cerco sempre di dare spazio alla creatività dell’attore ma soprattutto all’improvvisazione più schietta che apre mente e cuore».

Chi ha collaborato con lei e dove avete girato le varie scene?

«L’ho sceneggiato con Dario Carraturo e Guglielmo Finazzer, la direzione della fotografia è di Fabio Olmi, il montaggio di Alessandra Clemente, le scenografie di Luca Gobbi, le musiche di Paolo Vivaldi e i costumi di Laura Costantini. L’abbiamo girato tra Roma, Civitavecchia e Milano».

Alterna la regia alla scrittura, dopo 30 film ha appena pubblicato con Vallecchi un altro romanzo? Ce ne parla?

«È un romanzo dedicato a racconti di uomini, animali e ombre anche se s’intitola “Sotto il sole”, frase che viene dalla Bibbia. Io non sono uno scrittore, sono uno sceneggiatore e scrivo per immagini. Queste nascono da suggestioni, da piccoli embrioni, spinte e sollecitazioni. Non si tratta di una serie di racconti horror o sanguinolenti ma parla di ombre che raccontano l’oggi e che si muovono sotto il sole affrontando temi che ci toccano da vicino, di misteri che popolano tanti luoghi, case, teatri, supermercati, di animali che comunicano alla loro maniera aiutando i transiti. E tutto ciò sottende una vita normale, fa parte della nostra percezione o anche di un nostro bisogno psicologico. Capisco che passare a questa narrazione è un passaggio ardito ma è liberatorio».

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