La diversità è un bene da tutelare

Un brutto pareggio da 6 gol contro un avversario alla portata segnala due cose. La prima: il Cesena ha bisogno di migliorare la sua condizione atletica. È vero che ha rimontato da 1-3 a 3-3, ma l’avversario era rannicchiato su se stesso, disarmato dai bizzarri cambi del suo allenatore. La seconda: vanno tutelati i giocatori che danno qualcosa di diverso.
In mezzo a uno spartito a volte troppo monocorde, la diversità dei singoli fa la differenza e va tutelata, anche se i suddetti singoli sbagliano. Nel Cesena poi ci sono alcuni giocatori talmente importanti che non hanno nemmeno bisogno di giocare bene per essere utili. In un gruppo carente di leadership, la voce che si sente di più in campo è quella di Michele Nardi, che ha già prenotato un posto nella storia come primo portiere del Cesena investito del ruolo di regista. Merito anche di un tipo di calcio diverso da quello del passato, dove ci accorgevamo degli arti inferiori dei portieri in altri modi. Per esempio, quando Sebastiano Rossi usciva in presa a ginocchio alto, partiva un minuto di raccoglimento in memoria delle costole degli attaccanti avversari che ci sbattevano sopra. Aveva gambe incredibili Alberto Fontana, ma ce ne rendevamo conto quando caricava ed esplodeva per togliere palloni impossibili dall’angolino. Passarono alla storia i piedi di Michelangelo Rampulla, ma solo perché nel 1985 sbagliò un calcio di rigore contro il Monza in un campionato in cui dal dischetto sbagliavano tutti e non si trovava uno straccio di rigorista.
A livello tecnico, oggi la diversità è Nicholas Pierini, che a volte esagera nei ricami barocchi, ma sa dare colore al grigiore orizzontale che a tratti si impossessa del Cesena. A pari merito Tommaso Berti: un 2004 che ha dimostrato di essere coraggioso e di avere un buon rapporto con i suoi errori. Di sicuro sbaglierà ancora, ma quando le sue idee in verticale funzionano, ci sono solo benefici.
Al terzo gradino del podio, in attesa di vederlo per una gara intera, un Dominik Frieser che per ora ha mostrato una colata lavica di tatuaggi e un po’ di voglia di guardare verso la porta degli altri. Già questo basta a dire che potrà servire in questo gruppo dalla personalità balbettante.
Tutto questo in attesa di Mattia Bortolussi, avvolto dalla sindrome del bomber triste, nota negli anni 80 come “sindrome di Cozzella”, patologia evolutasi negli anni 90 in “strabismo di Amarildo” per poi confluire definitivamente nella dolorosa “ernia di Pancu”.
Un trattato sul valore della diversità lo tenne qualche anno fa Alberto Bucci al Panathlon Club Cesena. Alberto Bucci era la versione italiana di Julio Velasco, un grande allenatore di basket talmente ricco di idee che a fine carriera seppe evolversi in più ruoli: fu mental coach del Real Madrid di Carlo Ancelotti e pure gestore delle risorse umane nella Nazionale italiana di golf. E alla fine del suo intervento al Panathlon in una serata a Ponte Giorgi, Bucci fece capire a suo modo la sua idea di gruppo: «Un gruppo funziona quando ogni solista viene messo in grado di rendere al meglio al servizio della sua squadra. Senza snaturarsi, ma rimanendo se stesso, con il suo talento, con tutto quanto di buono riesce a fare. Dentro una squadra, la diversità fa la differenza. Anzi: questo vale per tutti i momenti della nostra vita. Non esistiamo mica solo noi, non abbiamo sempre ragione noi. La diversità è un valore: se mia moglie fosse come me, sarebbe una stronza e ci saremmo già lasciati». A suo modo, aveva letto una poesia di San Valentino e non ce n’eravamo accorti.

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