La Cumpagnì dla Zercia impazza sul web

La Cumpagnì dla Zercia approda al web, a 65 anni da quando un gruppo di giovani del quartiere Bussecchio di Forlì mise in scena la commedia La camisa dla Madona. A distanza di tanto tempo questi cantori del dialetto romagnolo cercano di proseguire quello che hanno iniziato: «Far sorridere la gente – spiega il direttore di scena, Giorgio Barlotti – senza battute sguaiate e con intelligenza. Cito sempre una signora che alla fine di uno spettacolo ci venne a dire: “Quanto ho pianto, quanto mi sono divertita!”. Ecco, quella frase è emblematica dello spirito della nostra commedia che parla di valori semplici ed eterni come l’amicizia, l’onestà, di sentimenti e drammi. È chiaro, la comicità deve essere sempre lì, altrimenti, che commedia è? Ma la volgarità ci è estranea, ci sembra un’offesa al pubblico, come ci ha insegnato Claudio Tura, il nostro regista, scomparso purtroppo tre anni fa».

Ma quanto è popolare oggi la commedia in dialetto?

«Ci sono stati periodi d’oro fino a dieci anni fa, con teatri pieni, anche da 300-400 spettatori, e un centinaio di repliche all’anno. Poi, con il sopravvento di tante novità tecnologiche e con la crisi del dialetto, le rassegne si sono ridimensionate fino a contare un 30-40% di pubblico in meno. Con un risvolto positivo però: a seguire questo teatro resta infatti quella parte di popolazione che ha vissuto le storie che raccontiamo, e che forse proprio per questo le apprezza in modo particolare».

E in scena? Solo capelli grigi?

«È un po’ la lacuna attuale: che a questi testi non si accostino giovani attori. Forse oggi si vuole tutto subito: la carriera, l’immagine, il risultato immediato, e tante volte siamo stati usati come trampolino di lancio! Poi, non ce lo nascondiamo, c’è la difficoltà di tenere vivo il dialetto fra i giovani».

Eppure in altre regioni il dialetto, anche sulla scena teatrale, lo parlano anche loro.

«Certo: in Campania, in Sicilia, anche in Veneto. Lì, però, spesso la commedia dialettale, specie se la lingua viene un po’ addolcita, è ripresa anche dalla televisione e trasmessa fuori regione. Con il romagnolo questo è difficile».

Ma oggi grazie a “Una vôlta in Rumâgna” siete sul web!

«Il limite è che molti utenti non sono tanto pratici a usare i social. Ma non c’era alternativa per non far sparire del tutto il teatro in dialetto: certo, invece che 1.000 persone ne raggiungeremo 500, sempre però con la soddisfazione di rendere qualcuno contento e più sereno. Non siamo professionisti, ma solo un gruppo di amici che tanti anni fa hanno scelto questo modo per passare tempo insieme e divertirsi. Poi la vita ci ha imposto un percorso e abbiamo cominciato a raccontare storie su quanto stavamo vivendo: le difficoltà del dopoguerra, la meccanizzazione delle campagne e il loro abbandono, e poi la tecnologia, che ha preso alla sprovvista le persone più anziane. Abbiamo scelto di raccontare i cambiamenti della nostra società con un sorriso: la gente, in queste storie, si riconosce, e ci riconosce anche la nostra impronta».

Info: giobarlotti@libero.it

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