La crisi idrica persiste, l’agricoltura corre ai ripari

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C’entra il cambiamento climatico, ma c’entra senz’altro anche la mancanza di infrastrutture adeguate. La crisi idrica minaccia l’Italia e l’Emilia-Romagna non fa eccezione. Ne è un simbolo il Po. L’ex Grande Fiume ha attualmente una portata inferiore a quella dello scorso anno: a Torino, questo deficit si attesta attorno al 50%, ma in altre stazioni di rilevamento supera addirittura l’80%, prolungando tale condizione anche nella nostra Regione dove, a Piacenza, registra nuovi minimi storici.

«La critica condizione idrica del fiume Po si trascina da dicembre 2020 e condiziona l’economia agricola, nonché l’agroalimentare della principale food valley italiana e riconosciuta eccellenza mondiale: la Pianura Padana», evidenzia Francesco Vincenzi, presidente dell’Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue (Anbi). E questo mentre la diga di Ridracoli, in Romagna, è vicina al colmo e gli Appennini sono coperti da una coltre di neve.

I Consorzi mettono in guardia sulle conseguenze che questi squilibri e il procrastinarsi di una situazione che si preannuncia “idricamente complessa” sono destinati ad avere sul territorio e sottolineano l’urgenza di mettere in campo misure opportune per fronteggiare tutto ciò.

«È necessario - scandisce Vincenzi - un nuovo approccio nell’affrontare una situazione di crisi dall’accelerazione inattesa, che la caratterizza come ormai endemica: bisogna tesaurizzare ogni goccia d’acqua, aumentando la permanenza sul territorio di apporti idrici sempre minori. È indispensabile una nuova cultura, che metabolizzi come i cambiamenti climatici stiano determinando la fine dell’abbondanza idrica sul Nord Italia e quindi sia necessario creare le condizioni infrastrutturali per garantire omogenee riserve idriche al Paese, pena l’abbandono di qualsiasi prospettiva di autosufficienza alimentare». Ma accanto agli avvertimenti Anbi delinea anche le proposte: efficientamento delle reti irrigue esistenti, ampliamento degli schemi idrici e aumento della capacità di stoccaggio dell’acqua per poterla poi distribuirla quando serve. Dei 223 progetti già cantierabili previsti dal Piano Laghetti in tutta Italia, 40 sono ubicati in Emilia Romagna, per un incremento di capacità complessiva pari ad oltre 102 milioni di metri cubi, il che garantisce irrigazione ad ulteriori 68.367 ettari di campagna. E la multifunzionalità di tali bacini promette di garantire anche la posa di 57 impianti fotovoltaici galleggianti (potenzialità: Kw/anno 97.430.000) e la realizzazione di 12 centrali idroelettriche, per una produzione stimata annualmente in 933.040 kilowattora. Ulteriore strategia: «Far circolare l’acqua, compatibilmente con le esigenze della salvaguardia idrogeologica, nel reticolo secondario anche in inverno. Così le falde verrebbero ricaricate e l’ambiente ecosistemico tenuto in vita».

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