La crisi dei padroncini: costi alti, meglio le fusioni

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C’è un settore economico che ha ormai intrapreso una china discendente ed è quello dei trasporti. In particolare i padroncini, che sembrano starsi avvicinando sempre più al tramonto. Secondo il volume presentato la scorsa settimana in fiera a Milano nell’ambito del Transpotec, dal 2016 al 2021 le imprese individuali dell’autotrasporto merci sono passate da 54.681 a 43.296. In cinque anni, praticamente, sarebbero spariti il 20% dei padroncini.

Secondo i dati in possesso alla Cgil e al suo delegato Yuri Guidi il calo è stato evidente anche in Romagna, dove nello stesso periodo le imprese individuali del settore sono calate del 16% circa. Tuttavia, stando a Guidi le conclusioni a cui giunge il volume presentato a Milano «sono incomplete». Perché? Stando alle risultanze del sindacato, quell’ingente numero di padroncini non avrebbe smesso di lavorare, ma una buona parte di loro avrebbe preferito fondersi con le aziende più grandi. «Lo abbiamo visto nel corso di questi anni, per esempio, con la Ciclat» racconta il sindacalista. «Volendo dare una risposta al fenomeno – aggiunge –, si spiega con il problema dell’aumento dei costi. E oggi più che mai un’azienda monoveicolare non ha più la possibilità di sostenersi economicamente».

Tra l’altro, per il rappresentante della Cgil lo studio di settore non sarebbe più veritiero. Le aziende artigiane, infatti, hanno degli studi di settore che prevedono fatturati medi calcolati.

«Il problema – assicura Yuri Guidi – è che i fatturati di riferimento non sono più attuali, perché la concorrenza in particolare dall’estero è davvero spietata. Tante aziende italiane nel tempo avevano delocalizzato e poi c’è il tema costi. In Bulgaria – assicura il sindacalista – percepiscono tra i 350 e i 400 euro al mese. In Italia intorno ai 1.800 euro».

Ecco perché i trasportatori si stanno concentrando sempre di più all’interno delle grandi aziende, che in Romagna sono circa un centinaio con mezzi a disposizione che vanno dai 40 ai 120 camion.

Stime costi e ricavi

A un problema se ne aggiunge un altro ed è la carenza di persone che oggi vogliono fare questo mestiere. «In Romagna – interviene Guidi – attualmente mancano circa mille autisti, anche perché molti ragazzi stranieri sono tornati a casa durante questi due anni di pandemia e non sono più tornati, dato che hanno trovato un nuovo lavoro. Nel frattempo, la logistica si è talmente sviluppata che i numeri non sono mai abbastanza. La conseguenza è che ci sono camionisti che ridanno indietro la licenza perché non trovano nessuno a cui venderla».

Ma la causa di tutto questo? Ad influire sono specialmente le spese. Una nuova licenza costa tra i 4 e i 5 mila euro, ma la si ottiene al termine di un percorso che dura più di un anno, mentre una in vendita viene pagata tra gli 8 e i 10 mila, ma se si hanno i parametri (patente, onorabilità e sostenibilità economica, in quest’ultimo caso sono previste fideiussioni da 9 mila euro per il primo mezzo e da 5mila per gli altri a seguire) si può lavorare anche il giorno dopo.

Rimanendo sui costi, «le tasse – spiega Yuri Guidi – attualmente pesano circa per il 53,3% del fatturato» e una volta aggiunto l’ammortamento del mezzo e i costi del carburante, «per un’azienda sana che paga fino all’ultimo centesimo rimane solo il 40% del frutto del suo lavoro».

Prendendo i calcoli della Cgil, si parla di uno stipendio che, a seconda di quanto un camionista riesce a lavorare, si aggira tra i 1.400 e 2.300 euro per i più fortunati (che comunque girano tutta l’Italia per settimane e settimane). Ecco, quindi, le motivazioni del perché i padroncini stanno velocemente scomparendo.

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