La coppia nata a Davos che porta l’Italia al forum

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Lui ravennate, italo-marocchino, vive a San Marino. Lei è russa e l’ha seguito sul Titano avendo sempre considerato l’Italia la sua patria d’elezione, dopo una prima esperienza di residenza a Milano. Samir Mastaki e Irina Biss vengono chiamati la “Davos Couple”, essendo una coppia formatasi proprio al Forum mondiale che si tiene annualmente in Svizzera. E ora, assieme, vogliono portare l’Italia ad avere una propria “casa” proprio all’interno dell’evento annuale dove si riunisce il gotha dell’economia e della finanza internazionale: «Avere un proprio spazio all’interno di quell’ambito è una calamita di investimenti per il Paese, è incomprensibile che oggi non esista ancora». Si sono conosciuti proprio a Davos, Samir e Irina. Del resto Irina Biss è partner strategica di uno degli eventi principali e prima che nella Repubblica di San Marino ha vissuto in Cina, Grecia, Cipro e Germania. Parla cinque lingue, e al Wef è di casa dal 2015.

Samir Mastaki lo frequenta da quattro anni e - di fatto - sulle prime era per Irina un cliente, avendo lui partecipato, ormai in molteplici casi, come speaker in vari eventi ospitati dal World economic forum. Una delle troppo rare voci italiane in un evento nel quale è importante essere: «C’è sempre maggiore consapevolezza, all’interno di Davos, di come molti cittadini vedano distante questo forum di discussione mondiale sull’economia. Se la diffidenza è in molti casi giustificata - premette Samir -, bisogna però essere realisti. Le cinquemila persone che compongono il fulcro decisionale della finanza nel mondo non hanno bisogno di un forum mondiale per incontrarsi. Per chi fa business esserci è una maniera per pianificare i passi futuri, per calibrare le strategie nell’anno in corso e per incastrare appuntamenti che normalmente non potresti mai pianificare». Non c’è troppo bisogno di specificare che le condizioni di entrata sono piuttosto esclusive. Essere a Davos impone una spesa dai 300 ai 500mila euro. Fondare quindi una “casa italiana”, riferimento per le aziende a Davos, dovrebbe vedere un investimento di mezzo milione ma Irina, che per suo vissuto professionale ha collaborato all’evoluzione di quella greca, non è pessimista: «Hanno deciso di triplicare lo spazio dal prossimo anno, perché sta significando per loro uno straordinario vettore di investimenti: l’agenda di eventi ospitati dal loro stand era troppo fitta». Del resto nei momenti di confronto organizzati da Irina, il 70 per cento dei partecipanti ha il “white badge” (riservato a direttori executive delle corporation, a membri di governo o media leaders) e nel 20 per cento dei casi sono membri di famiglie reali. Per questo Samir - fondatore di Lemonade, una startup specializzata nella diagnostica medica attraverso l’intelligenza artificiale - pensa per la casa italiana uno spazio «fra il primo e il secondo stage del Wef, aperto alle aziende del made in Italy più vocate all’export. La frequentazione di Davos può essere una grande opportunità per le imprese della food valley, della motor valley, dell’ambito oil&gas ed energetico». Una possibilità di networking per una realtà, quella di Davos, che sta a sua volta cambiando. Certo è ormai chiara a tutti la cacofonia di 5mila aerei che atterrano per far sbarcare personalità che usano quella ribalta per chiedere a tutti di non mangiare più carne e di rivoluzionare i propri stili di vita per la sostenibilità - racconta ancora Samir -. È molto probabile che per riabilitarsi nei confronti dell’opinione pubblica su queste macroscopiche incoerenze il Wef decida nelle prossime edizioni propri interventi, che passi dall’essere solo think tank a ricoprire anche una funzione di attore che rappresenti l’agenda 2030 delle Nazioni Unite». In molti parlano anche di un cambio di guida, con un clamoroso passaggio di mano da parte di Klaus Shwab, 84enne deus ex machina e fondatore del Forum: «Se prima anche la stampa mainstream era molto univoca, ora nessuno nega che questa sia una concreta possibilità, per un Wef che sta cambiando pelle anche nelle tematiche di riferimento. Se nel 2022 - riprende la sua narrazione l’investment banker e startupper ravennate -, quando si tenne a maggio per la pandemia, l’80% delle conversazioni del Forum avevano a che fare con l’Ucraina, quest’anno queste rappresentavano il 20%. Ora è molto più presente la questione dell’intelligenza artificiale, la rivoluzione imposta da “chat gpt”, il deep learning e il riconoscimento del linguaggio». Cambia anche la maniera di approcciarsi alle criptovalute: «Nel main forum il focus era sulla Cbdc (Central bank digital currency), al di fuori invece era un rincorrersi di confronti sui rischi di pervasività che può avere una criptovaluta governata dalla banca centrale. Anche su questo - conclude Mastaki - il confronto è aperto».

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