La compensazione IVA in assenza di dichiarazione

Laddove il contribuente utilizzi in compensazione il credito IVA senza aver presentato la relativa dichiarazione è soggetto alla sanzione per omesso versamento, di cui ai commi 1 e 2 dell’allora vigente articolo 13 del d.lgs. n. 471 del 1997. È questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 11270/22, depositata il 7 aprile, la quale, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle entrate, ha definitivamente stabilito la legittimità dell’atto di irrogazione sanzioni oggetto del contendere. La controversia riguardava un società di capitali che, nel 2005, aveva portato in compensazione nel trimestre successivo il credito IVA maturato nel secondo e terzo trimestre, senza tuttavia presentare la dichiarazione prevista dall’art. 8 del d.p.r. n. 542 del 1999. Tale omissione era stata sanzionata dal fisco con una sanzione pari al 30% dell’importo compensato, ai sensi dell’allora vigente articolo 13, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 471 del 1997. La società contribuente si era difesa sostenendo di aver al limite commesso una violazione meramente formale, attesa la validità ed esistenza del credito IVA usato in compensazione. La tesi della parte era stata accolta sia in primo grado che in appello. La Cassazione, tuttavia, richiamando un proprio insegnamento, peraltro negli ultimi tempi consolidatosi, ha affermato che, in tema di IVA, l’errata utilizzazione della compensazione in sede di liquidazione periodica, in assenza dei relativi presupposti, non integra una violazione meramente formale, neppure ove il credito d’imposta risulti dovuto in sede di dichiarazione annuale e liquidazione finale, poiché comporta il mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste e determina il ritardato incasso erariale, con conseguente deficit di cassa, sia pure transitorio, nel periodo infrannuale, per cui è sanzionabile ai sensi del d.lgs. n. 471 del 1997, art. 13.

Secondo la Cassazione la dichiarazione di cui al d.p.r. n. 542 del 1999, art. 8, comma 3, contenente i dati richiesti per l’istanza di rimborso, integra un presupposto della compensazione, per cui, pur non escludendo, in presenza delle altre condizioni, l’esistenza del credito IVA, suscettibile, comunque, di rimborso, e non determinando conseguentemente il suo recupero da parte dell’Amministrazione finanziaria, giustifica l’applicazione della sanzione di cui all’allora vigente d.lgs. n. 471 del 1997, art. 13, commi 1 e 2. La decisione in commento lascia francamente perplessi. A sommesso avviso di chi scrive la tesi della contribuente appariva fondata e comunque ragionevole. Del resto, la compensazione “sostanzialmente” valida eseguita tuttavia in violazione delle modalità di utilizzo previste dalla normativa di riferimento è una condotta che risulta espressamente punita solamente dal 2015 (22 ottobre). All’epoca dei fatti, come giustamente rilevato dalla difesa della parte, nemmeno vi era una specifica sanzione per la condotta contestata. Tuttavia, i giudici di vertice hanno deciso così ed è bene prenderne atto, e, per il futuro, in caso di compensazione del credito IVA, occorre seguire attentamente le modalità prescritte dalla legge, per non incorrere in sanzione.

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