La cessione d’azienda da parte di una Asd: i dubbi

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Un atto di “cessione d’azienda” non può che ritenersi una prassi comune, anche nell’ambito di una compravendita di una attività di “palestra”. Contrariamente, qualora l’atto di cessione di azienda abbia ad oggetto un’Associazione Sportiva Dilettantistica, senza fine di lucro, non è da escludersi, per l’acquirente, la possibilità di ricorso giudiziale, per vedersi riconoscere la “nullità o annullamento” del contratto, per inesistenza dell’oggetto in contratto.

Il caso di che trattasi prende spunto dal compimento di un atto preliminare di cessione di azienda, posto in essere da una A.s.d., il cui legale rappresentante ha, di fatto, agito in nome e per conto proprio, avendo lo stesso amministratore operato privo di alcun mandato, da parte dell’organo assembleare. A ben vedere, l’atto preliminare di compravendita, benché riferito ad una A.s.d., evidenzia una comune volontà negoziale dei contraenti, da una parte di cedere, dall’altra di acquistare, una “attività per fini sportivi”. Vieppiù detta attività è rappresentata di fatto da una stabile organizzazione aziendale comprensiva, nel caso, di un contratto di locazione di bene immobile, di beni mobili (arredi ed attrezzature), mentre la determinazione del prezzo si fonda sulla valorizzazione degli introiti derivanti della “clientela”, rappresentata dagli associati. L’insieme dei menzionati elementi paleserebbe il comune intento dei contraenti di realizzare una cessione avente ad oggetto un’azienda che svolgeva attività di tipo commerciale, nell’ambito sportivo, benché il cedente si configuri in una A.S.D. In tal senso si è espresso recentemente in primo grado il Tribunale di Cremona.

In termini del tutto contrari, a tal riguardo, è poi intervenuta la pronuncia della Corte d’Appello di Brescia, Sez. I, con la sentenza n. 266 del 25.02.2022. La riforma, sicuramente fondata, stigmatizza essenzialmente il fatto che il legale rappresentante abbia agito a titolo personale, senza alcun diritto, carente dunque del mandato dell’assemblea degli associati. A venire in rilievo, infine, che lo svolgimento di attività commerciale da parte delle associazioni sportive dilettantistiche debba ritenersi rilevante ai soli fini fiscali, senza che questo possa incidere sulla natura e le caratteristiche della associazione in parola.

Tali coordinate ermeneutiche, espresse dalla Corte, appaiono criticabili. Ad avviso di chi scrive il contratto sarebbe stato comunque nullo, atteso che l’attività di palestra ceduta non sarebbe esercitabile in forma aziendale, in quanto l’Asd non è configurabile come imprenditore. Lo scopo di lucro, c.d. lucro soggettivo, non è elemento essenziale per il riconoscimento della qualità di imprenditore commerciale. L’attività di impresa si configura nel momento in cui sussista una obiettiva economicità dell’attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi, c.d. lucro oggettivo.

Tuttavia, nel caso delle ASD il lucro oggettivo non si realizza, e quindi da parte delle stesse deve a monte escludersi la possibilità di cedere un’azienda “sportiva”, e ciò a prescindere dal fatto che il legale rappresentante sia o meno munito di autorizzazione assembleare.

* Associato alla Camera degli Avvocati Tributaristi della Romagna

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