La Cassazione indica le condizioni per la responsabilità solidale del cessionario IVA

Con l’ordinanza n. 25425.2022, depositata lo scorso 29 agosto 2022, la Corte di Cassazione ha precisato quali sono i presupposti in presenza dei quali deve ritenersi legittima l’applicazione, da parte del Fisco, dell’art. 60 bis del d.p.r. n. 633 del 1972, ossia, della richiesta di versamento nei confronti del cessionario, quale responsabile in solido, dell’IVA non versata dal cedente nell’ambito di compravendite aventi ad oggetto i beni individuati dal D.M. 22 dicembre 2005, come integrato dal D.M. 31 ottobre 2012. La fattispecie normativa in richiamo riguarda segnatamente: (i) gli autoveicoli, motoveicoli, rimorchi; (ii) prodotti di telefonia e loro accessori; (iii) personal computer, componenti e accessori; (iv) gli animali vivi della specie bovina, ovina e suina e loro carni fresche; (v) pneumatici nuovi di gomma, nonché pneumatici rigenerati o usati di gomma e gomme piene o semipiene, battistrada per pneumatici e protettori (flaps). Al riguardo, i giudici di vertice, con l’ordinanza in esame, hanno avuto modo di precisare che “.. quanto alle fattispecie di cui all’art. 60 bis d.P.R. 633 del 1972, l’Ufficio ha l’onere di provare unicamente le due circostanze di fatto relative all’omesso versamento dell’Iva da parte del cedente e all’inferiorità al valore di mercato del prezzo praticato; a fronte di tali deduzioni e prove, ove entrambe siano dedotte e assolte, l’onere seguente si trasferisce sul contribuente che ai sensi dell’art. 60 bis comma 3 del richiamato d.P.R. dovrà dare la prova che il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta”. Secondo i giudici di legittimità, dunque, l’art. 60 bis del d.p.r. n. 633 del 1972 esige, quale presupposto per la responsabilità solidale del cessionario, unicamente la ricorrenza del dato oggettivo del prezzo inferiore al valore di mercato; attribuendo a quel punto al cessionario l’onere di escludere tale sua responsabilità. Ebbene, a sommesso avviso di chi scrive, il dato normativo in esame, nonché l’interpretazione offerta dai giudici di vertice, non appaiono in linea con le indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia. Quest’ultima, infatti, in più di una circostanza ha chiarito che “gli operatori che adottano qualsiasi misura che possa essere da essi ragionevolmente pretesa al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una catena in cui ricade un’operazione inficiata da frode all’IVA devono poter fare affidamento sulla liceità di tali operazioni senza rischiare di essere obbligati in solido a versare tale imposta dovuta da un altro debitore”. Ne consegue che per applicare in maniera “comunitariamente corretta” l’art. 60 bis in richiamo il Fisco deve ritenersi obbligato a verificare non solo il dato oggettivo riguardante il prezzo praticato, ma anche quello “soggettivo” relativo alla condotta tenuta dal cessionario; in caso contrario, la contestazione erariale dovrebbe ritenersi ab origine viziata e quindi illegittima. Ciò posto, alla luce dell’insegnamento in richiamo risulta certamente conveniente ed opportuno, per coloro che acquistano i beni di cui al suindicato D.M. 22 dicembre 2005, verificare attentamente la congruità del prezzo praticato, così da evitare possibili contestazioni erariali.