L'ultimo saluto a Marescotti mercoledì a Bagnacavallo, da martedì la camera ardente - Gallery

La camera ardente dell’attore Ivano Marescotti, venuto a mancare ieri all’età di 77 anni, verrà allestita nella Sala Oriani dell’ex convento di San Francesco a Bagnacavallo martedì 28 marzo dalle 14 alle 18 e mercoledì 29 dalle 10 alle 15, orario in cui si terrà un commiato. Verranno raccolte offerte per lo Ior. La Sala Oriani è in via Cadorna 14; nei pressi è disponibile il parcheggio di Santa Chiara, sempre in via Cadorna. Alle 16.30 il feretro partirà alla volta di Ravenna per la cremazione.

Un grande interprete della Romagna

«Nessun attore può venire da Bagnacavallo!». Lo diceva il grande Totò in una celeberrima scena di un film di Steno. E lo ricordava spesso, divertito e autoironico, lo stesso Ivano Marescotti, nato proprio a Villanova di Bagnacavallo il 4 febbraio 1946 e scomparso ieri a Ravenna dopo aver lottato per mesi con una malattia inesorabile.
Di sicuro quella massima tranchant non valeva per uno come lui, che da ieri pomeriggio è nell’olimpo degli attori italiani e ne potrà parlare personalmente con il principe De Curtis, il quale si sarà da tempo ricreduto.
La Romagna piange infatti uno dei suoi più grandi interpreti. Aveva 77 anni, da due giorni le sue condizioni erano purtroppo peggiorate, tanto da rendere necessario il ricovero. Lascia la figlia Iliade - avuta da un precedente matrimonio - e la moglie Erika rimasta vedova nel giorno del suo primo anniversario di nozze. Nel 2009 Marescotti aveva perso il suo primogenito, Mattia, scomparso a soli 44 anni dopo una lunga malattia.
Nel febbraio dello scorso anno l’attore aveva annunciato il suo addio alle scene. «Faccio come Jack Nicholson» aveva detto, sempre con ironia.
Parole che suscitarono sorpresa e clamore non solo nella sua terra d’origine, ma in tutto il cinema italiano di cui era diventato protagonista dopo una carriera ormai quarantennale partita quasi per caso.


La carriera

Particolare la sua traiettoria artistica, ricostruita in un libro autobiografico dato alle stampe nel 2019 e intitolato “Fatti veri”. Volume in cui Marescotti racconta anche delle sue umili origini: figlio di Amleto, “bracciante comunista” e di Speranza detta Norma, di professione “Sturèra”, ovvero intecciatrice di stuoie con le erbe palustri. Dopo il diploma Marescotti lavora per anni all’ufficio edilizia del Comune di Ravenna. La decisione di intraprendere la strada della recitazione la prende solo nel 1981, quando a 35 anni lascia il posto fisso e inizia a esibirsi in teatri locali, entrando in più compagnie teatrali. L’esordio al cinema arriva qualche anno dopo, quando nel 1989 prende parte alla commedia “La cintura” come amico della protagonista, Eleonora Brigliadori. Marescotti, però, sembra preferire al set il palcoscenico, misurandosi con grandi registi teatrali della portata di Mario Martone, Carlo Cecchi, Giorgio Albertazzi e molti altri; eppure il cinema lo vuole con sé, cerca di fargli cambiare idea e molto probabilmente ci riesce Silvio Soldini, che lo arruola in “L’aria serena dell'ovest” (1990) insieme a Fabrizio Bentivoglio e Antonella Fattori.
Inizia così per l’attore un periodo molto prolifico sul grande schermo. Nel 1991 viene diretto da Marco Risi in “Il muro di gomma”, da Marco Tullio Giordana in un episodio di “La domenica specialmente” e, infine, da Roberto Benigni in quel “Johnny Stecchino” campione di incassi.
L’anno seguente è il padre nella famiglia rappresentata da Fulvio Wetzl in “Quattro figli unici” (1992), aggiudicandosi anche una candidatura ai Nastri d’argento, ma è con “Il richiamo” (1993) che ottiene il suo primo ruolo da protagonista assoluto: il marchese Giovanni Dal Sasso, per cui viene premiato al Festival di Sulmona. Torna a essere diretto da Benigni ne “Il mostro” (1994) e nello stesso anno è anche davanti alla macchina da presa di Pupi Avati in “Dichiarazioni d’amore” (1994).
Senza mai lasciare il teatro prende parte anche a serie televisive di successo come “La piovra” (1992) o “Il giovane Mussolini” (1993). Il cinema degli anni Novanta lo consacra nel panorama italiano. Ma questi sono anche gli anni in cui collabora per la prima volta con un regista straniero, Anthony Minghella in “Il talento di Mr. Ripley” (1999), dove affianca sul set le allora stelle nascenti Matt Damon, Gwyneth Paltrow, Jude Law e Cate Blanchett. E Minghella non è il solo, perché nel 2001 sarà Ridley Scott a dirigerlo in “Hannibal” con Anthony Hopkins e nel 2004 Antoine Fuqua in “King Arthur” nei panni del vescovo Germanius, pochi mesi dopo aver rinunciato al ruolo di Ponzio Pilato ne “La Passione di Cristo” di Mel Gibson.
In Italia è però la commedia a reclamarlo. Prima con Aldo, Giovanni e Giacomo in “La leggenda di Al, John e Jack” (2002), poi con Lezioni di cioccolato (2007), toccando la drammaticità con Albakiara (2008). Riceve il Nastro d’argento nel 2004 per l’interpretazione nel cortometraggio “Assicurazione sulla vita”. E continua sulla scia della commedia con Checco Zalone, che lo porterà sul set di due film: “Cado dalle nubi” (2009) e “Che bella giornata” (2011). In Tv è il singolare professor Gualtiero Cavicchioli delle tre stagioni de “I liceali” (2008).
Nel 2011 è nel cinepanettone di Neri Parenti “Vacanze di Natale” a Cortina, dove affianca i colleghi Christian De Sica e Sabrina Ferilli. Nel 2018 ritrova Stefano Accorsi in “A casa tutti bene” (2018), dove interpreta il patriarca di una famiglia italiana contemporanea tratteggiata da Gabriele Muccino in un cast che comprende tra gli altri Stefania Sandrelli e Pierfrancesco Favino. Anche quella è una prova magistrale. Il suo ultimo spettacolo è però al Petrella di Longiano, dove interpretava l’eroico vincitore del Giro d’Italia del 1914: Alfonso Calzolari.

«Comincio il terzo atto della mia vita»


«A 76 anni - aveva detto al Corriere Romagna poco più di un anno fa - comincio il terzo atto della mia vita». È stato il più breve e forse il più doloroso. Eppure in questi mesi Marescotti ha sicuramente fatto in tempo ad apprezzare l’affetto di questa terra. Di cui è stato un testimone fiero, sincero e mai ruffiano. Un amore e un rispetto contraccambiati fino alla fine.
Scriveva di lui l’attrice e drammaturga Elena Bucci nell’introduzione del suo memoir: «Ivano è un artista acrobata che si scrolla di dosso le definizioni e le vite presenti e passate per inseguire un sogno sempre nuovo, portandosi dietro il tesoro della sua stessa storia. Ivano è attore di teatro e di cinema, ma è anche uno scrittore, è un uomo che fa politica, è un autore romagnolo e internazionale, è un regista, è un inventore di generi teatrali. (…) Attraversa impaziente ogni vicenda per riportarne alla luce l’essenza e la consapevolezza, e lo fa col pianto e con le risate. Zingaro e olmo dalle salde radici, è libero di una libertà amara e a volte solitaria».
Non male - per dirla alla Totò - per uno nato a Villanova di Bagnacavallo.

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