"L'ultimo incubo di Kafka" del forlivese Paolo Cortesi

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«Tutto è collegato – e resta immutato, quando non diventa, ciò che è probabile, ancora più chiuso, ancora più attento, ancora più forte, ancora più malvagio» scriveva Franz Kafka ne “Il processo”.

L’irrequietezza esistenziale e l’incapacità del grande scrittore di dare volto alle proprie paure, al proprio mistero, ci riconducono ancora una volta lungo strade e vicoli di Praga ne “L’ultimo incubo di Kafka” di Paolo Cortesi, recentemente edito da Newton Compton.

L’affermato autore forlivese, che predilige da sempre il genere biografico, ha dato vita a un thriller storico in cui descrive meticolosamente il carattere di Kafka, i suoi modi di fare, il temperamento, la passione per la scrittura, la sua insonnia, la sua visione del mondo. L’invenzione di un universo parallelo in cui Kafka è stato, oltre alla dimensione principe di scrittore dell’assurdo, aggiunge quella di attento osservatore che diventa investigatore, intento a comporre un puzzle attraverso pezzi e testimonianze quando si verifica una serie di morti misteriose e improvvise. Ma c’è anche qualcuno che sta indagando su di lui, poiché comincia a sentirsi pedinato e inizia a notare una serie di strani movimenti nei pressi di casa sua. Un inquietante mistero sta per travolgerlo.

Cortesi, quale è stata la scelta di regalare in questo romanzo a Kafka il ruolo di investigatore?

«Franz Kafka, scrittore dello smarrimento e dell’assurdo, mi è sembrato subito uno straordinario protagonista per un giallo. La sua capacità di analisi profonda dell’animo umano, a pensarci bene, è la caratteristica fondamentale di ogni vero investigatore di delitti. Così, quando cercavo un personaggio reale per costruire la mia storia, la figura di Kafka mi è parsa la più interessante. Nel romanzo, Franz si confronta con la sua angoscia, ma al tempo stesso si rivela un ragionatore lucido e coraggioso, in un continuo rimando fra la vita interiore e gli eccezionali eventi che lo coinvolgono suo malgrado».

Non solo, si legge nella note di presentazione, un thriller storico ma anche un’attenta e profonda ricerca sullo scrittore e sul suo mondo.

«Ho cercato di scrivere un thriller storico veramente credibile. Per questo ho studiato a fondo non solo la biografia di Kafka, ma anche la Praga del 1914 in cui viveva. Molti dettagli biografici relativi a Franz, alla sua famiglia, alla sua fidanzata sono esatti e li ho riportati correttamente. Anche elementi all’apparenza minori, come marche di sigarette e di automobili, sono autentici. Questa mia accurata ricostruzione non è un virtuosismo, ma con essa offro al lettore uno scenario preciso e vero. La vicenda di cui Kafka è protagonista è finzione narrativa, tuttavia filigranata da elementi storici reali come, ad esempio, il Klub Mladych, il giornale Pijemont, l’assassinio del re di Serbia e le grandi manovre militari in Bosnia del giugno 1914. Tutte le notizie e i personaggi storici presenti in questo romanzo, come pure i riferimenti biografici di Kafka e della sua famiglia, sono autentici».

Perché infine si materializza una sorta di universo prallelo tra biografia e immaginazione con il ritorno dell’incubo de “La metamorfosi”?

«Questo è il punto forte del mio romanzo e, ovviamente, dovrò essere reticente per non rovinare la lettura del giallo. Dico solo che Kafka scopre, col ragionamento, che pretesi suicidi erano invece assassinii. Lui stesso si troverà in pericolo di vita e la tragica esperienza si tradurrà in alcuni dei suoi racconti più celebri, “La metamorfosi” per prima. Kafka diceva: “Scrivi un romanzo e fai fare ciò che vuoi ai tuoi personaggi. La realtà è molto diversa, lo sai. Nella vita vera i fumatori fumano bene o male, come capita. Chi sta per uccidersi pensa a tante cose, ma non alla sua pipa”».

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