L'operazione Popilia e gli hotel della riviera: "Mi puntò la pistola al petto e lasciai subito la Romagna"

Rimini

È sull'utilizzo della moneta “complementare” per alcune transazioni da parte dei coinvolti nell’operazione “Popilia” che si concentra l'attenzione degli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Rimini. Nel corso delle indagini è emerso l’utilizzo del particolare metodo di pagamento e quindi la necessità di vederci chiaro. Si tratta di un sistema, perfettamente legale, studiato per permettere alle imprese di avere maggiori opportunità di sviluppo. Non si tratta di moneta virtuale (come bitcoin o altre criptovalute) nè di alternativa all’euro. C’è da capire, però, se nel caso in questione l’esigenza di sfruttarlo sia legata - secondo quanto ipotizza la guardia di finanza - alla possibilità di “schermarsi” , evitando così di far transitare sul circuito bancario alcune transazioni.
Le monete complementari, ricorda una nota della Guardia di finanza di Rimini, sono state concepite per creare una camera di compensazione di debiti e crediti dove non esiste il tasso di interesse e la valuta è utilizzata soltanto per acquistare o vendere beni e servizi. Tutto regolare, per intendersi: il sistema nasce per incentivare gli scambi anche perché i crediti devono essere utilizzati entro un determinato lasso di tempo. Quindi, visto che non generano interessi e non si possono convertire in euro, tutti gli iscritti sono spinti a spendere facendo girare l'economia all'interno del circuito. In questo caso gli accertamenti, tutt’ora in corso, hanno permesso di verificare che nell'ultimo anno in particolare in uno degli hotel gestiti dalle società sottoposte a sequestro (con sede a Cesenatico) ha registrato 28000 euro di entrate e 32000 euro di uscite in “Sardex”, moneta complementare con valore di 1 a 1 con l’euro e una community dedicata (Sardex Pay) che permette di scambiare beni e servizi pagandoli, appunto, in Sardex.
Dalle oltre 20 perquisizioni effettuate dai militari della guardia di finanza tra Romagna, Puglia e Calabria non sarebbero emerse novità di rilievo. In particolare non c’è traccia di armi né di droga, a conferma che i fantomatici legami con la criminalità organizzata erano millanterie di alcuni degli indagati. Neppure stavolta è saltata fuori la pistola calibro 7.65 descritta dai testimoni. Il presunto detentore del revolver, però, è l’unico tra i cinque destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare che è risultato irreperibile. Vivrebbe all’estero ed è accusato di estorsione in concorso con i fratelli Manfredi, due degli albergatori finiti a domiciliari. I tre avrebbero minacciato un uomo che aveva versato 70.000 euro per costituire assieme una società per la gestione di alberghi per obbligarlo a rinunciare alla sua quota. «Prendi le tue robe e vattene via». Altrimenti sarebbero andati a casa sua e lo avrebbero massacrato. Invitato a un chiarimento, nella sala da pranzo di uno degli hotel finiti nel mirino dell’inchiesta, l’ex socio fu minacciato dall’uomo che adesso è ricercato. «Estrasse la pistola e me la puntò in pieno petto - ha raccontato ai finanzieri - dovevo lasciare la società e dovevo andarmene perché non era gradito, mi fece capire che era meglio se me ne andavo Ed è quello che ho fatto subito: avevo paura, non volevo guai».

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