L'operatore del 118: «Prima eravamo eroi, adesso ci negano il caffè»

Rimini

«Prima non eravamo eroi e adesso non siamo collaborazionisti». Il messaggio è chiaro, le parole decise, motivate da un’indignazione più forte della delusione, che supera il dispiacere e anche la frustrazione. Giovanni, nome di fantasia per indicare l’infermiere 42enne del 118 di Rimini che ha preferito non svelare la sua identità preoccupato da possibili ritorsioni, desidera raccontare come gli operatori del 118, al pari di medici e infermieri, siano passati dall’essere eroi inconsapevoli a «collaborazionisti di un complotto che ha basato sull’invenzione del Covid-19 una dittatura sanitaria».
Così, quella che all’inizio, durante l’estate, era solo un’impressione, Giovanni racconta essere diventa in autunno una realtà concreta: «In alcuni bar, adesso, ci hanno detto che non vogliono più che entriamo per prendere il caffè, perché la gente ci guarda male e possiamo attaccare il virus».

Giovanni, davvero, niente caffè in alcuni bar?
«Da ottobre ha iniziato a succedere. È capitato che almeno in due o tre occasioni, in uno dei bar in cui eravamo soliti prendere un caffè tra un servizio e l’altro, ci dicessero senza mezzi termini che non eravamo più i benvenuti. “La gente vi guarda storto” ci è stato detto una volta, da un barista che cercava di motivare la scelta».

È quasi difficile da credere.
«E invece è la verità. Addirittura uno ci ha fatto intendere di credere che il sistema sanitario percepisce dei guadagni grazie ai ricoveri per Covid, e che quindi anche noi eravamo “in combutta”, poiché riceviamo una percentuale sul numero degli interventi effettuati su persone dichiarate positive. Da prima che ci avevano affibbiato la dicitura di eroi, ora ci troviamo a essere untori, o ancor peggio il simbolo di qualcosa a cui la gente non vuole più pensare, come se noi, perché in divisa, perpetuassimo l’emergenza sanitaria che molti vogliono continuare a negare».

Il cambio di percezione è avvenuto con l’estate?
«Sì, il clima sociale è cambiato. Penso sia dovuto al lockdown, che ha avuto pesanti ripercussioni psicologiche, e la gente ha paura di finirci di nuovo. Al senso di incertezza di questo periodo. E così se a un certo punto avevamo iniziato a sospettare che verso di noi si fosse innalzata una sorta di insofferenza a un certo punto ne abbiamo avuto la prova. E siamo sfociati anche in episodi di violenza, come quando sono stati rotti i finestrini delle macchine dei sanitari. E il colmo è stato quando un collega ci ha detto di aver scovato un gruppo Facebook, che si chiama “Ospedali emergenza fake”, in cui si inneggiava a quello che era successo, applaudendo gli autori di questo gesto, perché è quello che ci meritiamo, in quanto “collaborazionisti” di questo “grande inganno”, come lo chiamano. Addirittura, anche in questo gruppo, si è arrivato a dire che gli ospedali mandano in giro le ambulanze con le sirene e i lampeggianti spiegati per fare scena».

Se sapesse che un negazionista ha bisogno del suo aiuto lo aiuterebbe?
«Certo, io sono un professionista specializzato come tutti i miei colleghi, per cui intervengo sulla base di criteri specifici e deontologici, anche se uno è un negazionista. Noi continuiamo il nostro lavoro. Non abbiamo chiesto di essere eroi prima, quando ci mandavano le pizze e le brioche in corsia, ma non chiediamo adesso di essere visti come collaborazionisti o come untori, visto che, tra l’altro, siamo continuamente monitorati con i tamponi. Siamo operatori dell’emergenza territoriale, prima, durante e dopo il Covid. Sempre».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui