L'intuizione di Zoebeli in un film di Teo De Luigi

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Le riprese, iniziate a giugno, sono proseguite nel corso dell’estate. Ora è in fase di ultimazione il film documentario dedicato al Ceis, il Centro educativo italo-svizzero creato nel dopoguerra, nella Rimini pesantemente bombardata, dall’educatrice e pedagogista Margherita Zoebeli (1912- 1996) su incarico del Soccorso Operaio Svizzero.

“Lo spazio che vive”, titolo del documentario, è diretto da Teo De Luigi: riminese, classe 1939, regista documentarista, è suo il compito di trasferire in un racconto per immagini, di far rivivere sul grande schermo la lunga storia del “villaggio” sorto nel 1946 sui terreni di via Vezia, sopra i resti dell’Anfiteatro romano (all’epoca un cumulo di macerie), per accogliere bambini e bambine orfani, disabili, con disturbi comportamentali a causa dei traumi di guerra.

Le riprese a Rimini

Con la sua pedagogia creativa Margherita Zoebeli, anima dell’asilo svizzero, conferì all’esperienza del villaggio di via Vezia un’impronta moderna e laica. Teo De Luigi la conobbe di persona. Al Ceis, dove insieme al direttore della fotografia Michele Barone e il resto dello staff tecnico ci si prepara ad un’altra giornata di riprese, l’emozione è palpabile. Nel giardino dell’asilo, durante la nostra chiacchierata, le immagini del ricordo prendono vita e sono già cinematografiche: par di vederla, Margherita Zoebeli, nel suo incedere solido, “fantasma” che vive ancora. Una «donna che aveva una debolezza forte» come ebbe a ricordare Tonino Guerra citando il regista sovietico Andrej Tarkowsky.

«Ricordo questa donna che attraversava i vialetti del Ceis come se fosse un’entità» racconta De Luigi. «Non mi si fraintenda, non voglio fare del misticismo, la mia è una visione molto laica». Ma è questo che oggi trasmette l’impasto dei ricordi, quasi l’immagine di una donna «non reale, con i suoi vestiti di bianco, di grigio, le sue magliette leggere, il suo muoversi in questo spazio… Io non voglio essere mistico, sono all’opposto, ma il fatto che lei passeggi, che vada nelle aule, che lei consigli a una classe di andare a vedere i tulipani in fiore, questa cosa l’ha inventata lei…».

I tulipani erano i suoi fiori preferiti.

«Portava i bambini a vederli – continua – e li faceva inginocchiare, sdraiare, in modo che vedessero i tulipani dal basso. Poi, rientrati in classe, li dovevano dipingere». Nel film i tulipani di Margherita Zoebeli ci saranno. «Questa cosa l’ho volgarmente copiata da lei – si schermisce il regista – Grazie alla collaborazione del giardiniere che ha piantato i tulipani a ottobre. Abbiamo organizzato una visita con i bambini della seconda classe».

Ci saranno, nel film che si punta a presentare in anteprima a Rimini nel gennaio 2022, anche numerose interviste. Ad esempio a Goffredo Fofi, che, come ha raccontato lui stesso al Corriere Romagna, conobbe Zoebeli lavorando da giovane in un colonia a Igea Marina. La troupe si è recata anche in Svizzera per raccogliere le testimonianze del figlio dell’architetto Felix Schwarz, che ideò l’asilo svizzero insieme a Zoebeli, e del figlio del grande fotografo Werner Bischof, autore di uno storico reportage fotografico sul Ceis.

La sfida più difficile

Il documentario – una produzione del Gruppo Icaro con il sostegno di Riviera Banca, Focchi Group e Nuova Ricerca – è un progetto che nasce non a caso in questo particolare frangente. «Ora il Centro Educativo Italo-Svizzero si prepara a vivere la sfida forse più difficile: l’ipotetico trasferimento da quel luogo originario, dove educazione, storia recente e storia antica della città hanno convissuto per 75 anni…» scrivono nelle note di produzione Teo De Luigi, Serena Saporito e Edda Valentini.

La storia del Ceis (il centro compie 75 anni proprio quest’anno) è la storia di un luogo che da soccorso temporaneo promosso da istituzioni e ambienti del socialismo dell’epoca, si trasforma in villaggio scolastico, ben presto modello di una nuova pedagogia in Italia e in Europa. Frequentato da decenni da tantissimi riminesi, il suo valore si fonda ancora oggi su una offerta e sistema educativo che si rifà agli insegnamenti della “pedagogista creativa” scomparsa nel febbraio del 1996.

Che fine farà il Ceis? La domanda sembra aleggiare nell’idea del progetto documentaristico. Così come aleggia una presa di posizione netta.

Teo De Luigi, lei vive in Liguria da molti anni. Cosa l’ha spinta a tornare a Rimini e ad accettare di dirigere questo documentario sul Ceis?

«Quando ho iniziato a leggere che si tornava all’idea del trasferimento, mi sono convinto che occorresse fare qualcosa. Il trasferimento temo si porti dietro anche l’abbattimento delle baracche, anche se non lo si vuole dire. Secondo me è una delle cose più mostruose che si possano pensare. In questo momento sento forte il bisogno di raccontare che cosa è stato e che cosa rappresenta oggi il Centro Educativo Italo-Svizzero».

Perché sono così importanti quelle “baracche”?

«Il Ceis dal punto di vista pedagogico e didattico può essere trasferito. Le impronte di Margherita e di Gianfranco Iacobucci, un grande direttore, e poi di Giovanni Sapucci, hanno lasciato come una scia dalla quale è difficile allontanarsi. Ma quelle baracche, il modo in cui l’asilo svizzero è stato concepito e costruito in quel luogo, sono diventati di una preziosità unica. Sono un patrimonio culturale della città di Rimini. Hanno un valore identitario al pari degli altri “monumenti”».

Cosa rappresenta il Ceis per Teo De Luigi?

«Per me è come un tesoro da scoprire ogni volta. Lo conosco dal 1975. Qui ha lavorato mia mamma Evelina come bidella, a partire dalla metà degli anni Cinquanta. Lei veniva a casa e raccontava quanto erano felici i bambini. Poi andò a fare la bidella in altre scuole e tornando a casa diceva: “I bambini non ridono più”».

Come ha conosciuto Margherita Zoebeli?

Ho voluto dedicare al Ceis la mia tesi in Pedagogia. Venivo qui con il videotape, fotografavo e filmavo e lei mi ha invitato nella sua baracca a prendere un tè alle rose. Così, per la prima volta ho assaggiato un tè alle rose. All’epoca, mi chiese se volevo occuparmi della mostra del trentennale del Ceis, nel 1976. Nel 1996 mi occupai poi del cinquantenario».

Margherita Zoebeli morì prima dei festeggiamenti...

«Mentre nel foyer del teatro Galli i riminesi scoprivano cos’era il Ceis, Margherita moriva. Venne Rita Levi Montalcini a tenere una conferenza».

Perché il titolo “Lo spazio che vive”?

«Perché è un luogo in continua evoluzione, dove si vive. È l’idea moderna avuta da Margherita settant’anni fa».

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