L'esperto di marketing: «Mai citare il coronavirus negli spot»

Rimini

Hotel come ospedali e ristoranti come cliniche. Tanti albergatori e imprenditori della ristorazione hanno “ceduto al fascino” della mascherina, della sanificazione e degli apparecchi all’ozono, mettendoli in bella mostra su mail promozionali, pagine social e siti web. Addirittura, c’è chi ha girato video in cui il personale alberghiero sembra sfidarsi a colpi di igienizzanti e macchinari pressoché mai visti prima, fatti apposta per rendere “Covid free” gli ambienti. Eppure, secondo gli esperti di Big Rocket, agenzia riminese specializzata in brand positioning (posizionamento aziendale), non esiste niente di più sbagliato per risollevare il proprio business al tempo del Covid. «Per attrarre la clientela - dicono Andrea Conti e Francesco Astolfi - non bisognerebbe mai mettere al centro della propria comunicazione concetti e immagini che riguardano la sicurezza e che rimandano al coronavirus».
Il risultato, infatti, può essere catastrofico. Come racconta Astolfi, «è capitato che un albergatore abbia chiesto a un cliente che aveva praticamente fermato la camera una sorta di “riconferma”, facendogli presente la situazione di emergenza sanitaria. A quel punto, il cliente, a cui l’albergatore aveva messo la “pulce nell’orecchio”, ci ha ripensato e ha annullato la prenotazione».

Voglio stare bene


Essendo «emotivamente provato», l’albergatore «commette errori». Lo dice Astolfi, e spiega che lo fa «perché è insicuro, e con l’insicurezza non vendi». Peccato che la vendita, come sottolinea l’esperto di marketing, «ha una piccola componente razionale, ma il resto è emozione». E a proposito di emozioni, «la sicurezza viene prima della vacanza, ma non è la motivazione della vacanza». «Io voglio andare in vacanza per stare bene» rimarca il consulente di Big Rocket, «e se sono uno di quelli che ha voglia di ricominciare a vivere, di uscire, e di divertirmi ho voglia di tutto tranne che di sentire parlare di Covid e di igienizzazione. Se scelgo di andare in un posto è perché mi sento sicuro, e do per scontato che sia tutto pulito a dovere». Se invece il cliente che si vuole convincere a soggiornare nel proprio hotel «è una di quelle persone che a mala pena esce di casa, o comunque è molto preoccupato, non credo proprio che lo si riesca convincere in quel modo». «O meglio - precisa - un accenno all’igiene ci può stare, ma poi è meglio parlare di altro, del relax di cui si potrà godere non essendoci la solita folla, dell’attenzione che lo staff potrà dedicare a ognuno». La carta vincente, infatti, secondo Astolfi «sarà proprio il rapporto interpersonale che si è costruito negli anni o che si riesce creare “mettendoci la faccia”, facendo sì che, senza parlare di sicurezza, il cliente si senta sicuro di venire da te in ferie. Sarà un po’ come tornare alla vacanza “vecchia maniera”, in cui si prenotava parlando al telefono e scrivendo mail all’albergo, quando non esistevano Booking o Expedia, che tra l’altro in questo momento, per ovvie ragioni, stanno subendo un tracollo».

Ti prego non farlo


Gli esperti di Big Rocket hanno da ridire anche sulla promozione di ristoranti e negozi. «La cosa più sbagliata che ho visto fare è mettere le foto di tutto lo staff con le mascherine e sotto scrivere “ti aspettiamo”. Ma dove mi aspettate? - si chiede Andrea Conti - in una casa di cura? A guardare quelle foto mi sembra di entrare con una barella a fare un’operazione chirurgica». «Se io voglio andare al ristorante, quello che mi aspetto è leggerezza, semplicità, altrimenti sto casa, che durante la quarantena ho capito benissimo che la pizza e la piadina me le posso fare anche da solo». Il punto, anche qui, «è che quello che si vende non è il prodotto, ma l’esperienza, l’emozione, ma non mi pare che in molti l’abbiano capito». Dopo la foto “in maschera”, per Conti, vengono i «giochi di parole con rimandi a lockdown o il coronavirus, come “sconto Covid”. Sempre per il fatto che alla mente del cliente devi richiamare di tutto, ma non “quello”». Ma peggio dello sconto da coronavirus, secondo Andrea Conti c’è la “tassa Covid”, quel famoso 4% che a volte si aggiunge al totale. «Togliete quel sovrapprezzo dallo scontrino. Se lo mettete per le pulizie che fate voi quando il cliente è venuto e ha sfidato la sua paura, voi avete perso. Vi stanno regalando la loro presenza. Mai». Anche per i negozi, soprattutto quelli di abbigliamento, secondo Conti valgono più o meno le stesse regole. «Puntare sull’igiene, sugli “omini bianchi” che sanificano, allontana le persone dal desiderio, quando il desiderio è l’unica ragione per cui vengono da te. Al contrario, per l’abbigliamento, già duramente minacciato dall'online anche prima, è il momento di rivedere il modello di business, approfittando delle restrizioni per fissare appuntamenti con i clienti, fare look personalizzati e proporsi come consulenti di immagine».

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