L'Amleto di Berardi e Casolari al Turroni di Sogliano

La rassegna “Prova d’attore” presenta stasera alle 21, teatro Elisabetta Turroni di Sogliano, uno spettacolo contemporaneo di teatro d’autore, vincitore nel 2018 del Premio Ubu.

È Amleto take away ideazione, produzione, allestimento della compagnia Berardi Casolari, in collaborazione con il Teatro dell’Elfo.

La compagnia è attiva da una quindicina d’anni fondata dall’attore pugliese Gianfranco Berardi, non vedente, e dalla regista e attrice emiliana Gabriella Casolari. Il pretesto di Amleto, quale simbolo del teatro occidentale, ma anche dell’individuo che non accetta l’ipocrisia diffusa del vivere, a costo di isolarsi e apparire inadeguato, diviene occasione di un testo che affronta questo tempo; nel quale, sostengono Berardi e Casolari, «tutto è rovesciato, capovolto, l’etica è una banca, le missioni sono di pace e la guerra è preventiva».

I due protagonisti introducono il loro spettacolo.

Berardi, che valenza ha nel vostro lavoro il “portare via”?

«Il nostro take away è una critica spietata e ironica al mondo attuale dove tutto deve essere da asporto, da trasporto e quindi commerciabile, e in maniera economica. È un’idea molto comica in apparenza, molto tragica nel profondo, perché racconta di un mondo dove tutto è usa e getta, compresi arte, teatro, bellezza».

Come si comporta il suo Amleto in questa condizione?

«Amleto è sbattuto da tanti consiglieri che gli dicono cosa “conviene” fare e non. Diventa una panca di legno sbattuta, rivoltata. La nostra scrittura parla di “marketting” intesa come nuova facoltà dove studiare il teatro, altrimenti è inutile continuare a lamentarsi. È un concetto che pure legato al mondo del teatro, riguarda anche il mondo dell’essere umano. Dove tutto ciò che è in perdita, non commerciabile, né conveniente, non è degno di profitto e dunque va cestinato. Lo diciamo in modo anche divertente e commovente. Col sorriso, per alleviare il panorama agghiacciante che ci circonda».

In che modo, Gabriella, l’allestimento rende visiva la volontà testuale?

«Direi in modo semplice ma efficace. Amleto è stanco di questo mondo e della situazione che vive, ma nello stesso tempo non può farne a meno. Abbiamo quindi costruito un teatrino portatile con ruote mobili alle quali Amleto è crocifisso, fino a morirne, perché non può fare a meno del teatro».

Siete solo in due, come vi alternate?

«Diamo voce e corpo sia agli attori sia ai personaggi. All’inizio siamo io regista e Gianfranco attore. Quando cominciamo a recitare, c’è un ribaltamento in cui spingo Gianfranco a interpretare, a esprimersi utilizzando oggetti e mezzi a disposizione. Lui è stanco di questo mondo in cui viviamo, si sente schiacciato da un teatro imbarbarito».

La condizione che criticate come si è trasformata con la pandemia?

«La pandemia ha accelerato il processo di spostamento del denaro nelle mani dei pochi, a scapito dei tanti. Non condividiamo l’idea di tagliare perché penalizza chi già non ha. La pandemia ha pure favorito speculazione nei settori tecnologici, farmaceutici, e adesso militari. Ha esasperato la digitalizzazione della vita, e addirittura legiferato la distanza fra gli individui».

C’è però, di positivo, il fatto che la gente ha ancora voglia di teatro.

«Noi lavoriamo per un teatro indispensabile e ciò ne favorisce la sua permanenza. Il teatro deve ritornare a stare al centro della comunità, è un rito a cui la gente deve partecipare. Emotivamente, in maniera invisibile. Crediamo che le relazioni basate sull’empatia siano quelle che muovono la collettività, che la tengono salda a valori utili di solidarietà». Euro 15-12.

Info: 370 3685093

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