Itinerario tra Romagna e Marche: dai borghi dei Malatesta alla terra di Valentino Rossi

Dal mare si parte, al mare si torna. In mezzo, un affascinante viaggio alla scoperta delle meraviglie dell’entroterra romagnolo-marchigiano, fra storia, leggenda ed echi danteschi, in una terra aspramente contesa, nel Medioevo, da Malatesta e Montefeltro, attraversata, durante la Seconda Guerra Mondiale, dalla Linea Gotica, e oggi famosa come patria del campione di motociclismo Valentino Rossi.

Start dunque dalla costa, con Cattolica o Gabicce punti di partenza ideali, e rotta verso Gradara, uno dei borghi medioevali meglio conservati delle Marche e d’Italia. Situata su una collina a 142 metri sul livello del mare, in un territorio ricco d’ulivi e vigneti, in virtù della sua fortunata posizione è stata fin dai tempi antichi un crocevia di traffici e genti, teatro, durante il Medioevo, degli scontri tra le milizie dello Stato Pontificio e le turbolente casate marchigiane e romagnole. Non a caso, è passata diverse volte di mano, con alcune tra le più importanti signorie della penisola a contendersene il possesso: i Borgia, i Della Rovere, i Medici. Una volta varcata la porta d’accesso e giunti al cospetto della rocca, si ha la sensazione di essere tornati indietro nel tempo. Un’impressione cui concorre la doppia cinta muraria, realizzata tra il XIII ed il XIV secolo dai Malatesta, che diedero al borgo l’attuale assetto: la più esterna, ancora percorribile, si estende per quasi 800 metri, conferendo all’intera struttura un aspetto particolarmente imponente, con torrioni e merlature. Quella interna, invece, divide il borgo dalla Rocca, e vi si accede varcando la Porta dell’Orologio, attraverso via Umberto I, dove fanno capolino basse palazzine con botteghe e osterie. La struttura originaria del castello risale al Millecento, dopodiché fu oggetto di ampliamenti e modifiche da parte dei Malatesta, degli Sforza e anche successivamente, nel ‘700 e ‘800. L’edificio presenta una pianta quadrata con un massiccio torrione poligonale sul lato nord est, alto 30 metri, da cui si domina l’intera vallata, opera, nel 1150, della potente famiglia dei De Griffo.

All’interno, si possono visitare gli ambienti allestiti con mobili del XV e XVI secolo e adornati con squisiti affreschi. Di grande interesse, il camerino di Lucrezia Borgia e la camera di Francesca. Gradara, infatti, è celebre per aver fatto da sfondo alla storia d’amore tra Paolo Malatesta e Francesca da Rimini, resa immortale da Dante nei versi del Canto V dell’Inferno. Tante le opere d’arte rinascimentale, tra cui la pala di terracotta invetriata di Andrea della Robbia e la famosa pala di Giovanni Santi, padre di Raffaello. Gradara, comunque, non si esaurisce nel suo castello. Si può ad esempio percorrere la Passeggiata degli Innamorati intorno al castello stesso o i sentieri del Bosco di Paolo e Francesca, che circondano la collina. Da lì, la vista può spaziare sul paesaggio rurale del Pesarese, spingendosi sino al mare. Altrettanto interessanti i Camminamenti di Ronda, il Museo Storico e la sua grotta, Palazzo Rubini Vesin, il Teatro Comunale, e il percorso di street art “Oltre le Mura”. Sulla tavola, il piatto tipico sono i “Tagliolini con la Bomba”, della tradizione contadina con cipolla e lardo, il cui nome deriva dalla modalità di preparazione. Tanti gli eventi, da “Il Medioevo a Tavola”, con i ristoranti del borgo che si trasformano in taverne quattrocentesche, “all’Assedio al Castello”, rievocazione storica del terribile assedio del 1446, attraverso più di cento figuranti, cavalli ed effetti speciali.

Lasciata Gradara, si torna verso la costa e si sale a Gabicce Monte, balcone panoramico sulla riviera romagnola. Il piccolo centro, a picco sul mare, sorge su un’antica fortezza i cui resti sono andati perduti. Il nome deriva da quello di una famiglia che possedette il castello nella notte dei tempi. Il toponimo originario era infatti castrum Ligabitij, ossia castello di Ligabizio o dei Ligabizzi, che poi si trasformò in Ligabicci, Le Gabicce e infine Gabicce. Ligabitius, però, potrebbe anche essere il sostantivo con cui venivano indicati coloro che svolgevano il lavoro di “legabecchi”: tale ipotesi trova le sue ragioni nella consistente presenza di capre (dette appunto becchi) sulle colline del San Bartolo. Da Gabicce si prosegue lungo la strada panoramica del San Bartolo (SP 44), con una serie di saliscendi che offrono uno splendido panorama ora sul mare ora sull’entroterra, sino ai monti Catria e Nerone. Si supera Casteldimezzo e si arriva a Fiorenzuola di Focara, suggestivo borgo risalente all’epoca romana; inizialmente era conosciuta semplicemente come Fiorenzuola, solo nel 1889 fu aggiunto il nome Focara, molto probabilmente per la presenza di fornaci o per i fuochi che venivano accesi come segnale di allarme per l’arrivo dei nemici. Lo sviluppo della cinta muraria, invece, è riferibile al periodo tra il X e il XIII secolo, periodo in cui Fiorenzuola con il suo castello fu parte di un importante sistema difensivo insieme a Casteldimezzo, Granarola e Gradara. All’ingresso, si viene accolti da una porta d’accesso che ricorda il passaggio del sommo poeta Dante Alighieri, che a questo piccolo borgo, quasi dimenticato, ha dedicato alcuni versi nella sua Divina Commedia: “Quel traditor che vede pur con l’uno, e tien la terra che tale qui meco vorrebbe di vedere esser digiuno, farà venirli a parlamento seco; poi farà sì, ch’al vento di Focara non sarà lor mestier voto né preco” (Canto XXVIII dell’Inferno.

Da qui, s’imbocca una bella discesa, breve ma intensa, verso il Valico della Siligata. Un po’ di saliscendi e si comincia a salire verso Monteluro e poi giù a Pirano di Tavullia, il regno di Valentino Rossi. Fino al 13 dicembre 1938, la cittadina era conosciuta col nome di Tomba di Pesaro (Tomba è parola di origine latina che significa altura), derivante dall’originario Castrum Tumbae, per via del castello (Castrum Montis Pilos Tumbao) segnalato fin dal IX secolo sulle pendici di Monte Peloso. Castello che fu ampliato nel corso del Duecento e quindi oggetto degli interventi della famiglia dei Della Rovere prima e dei Malatesta poi, per essere quindi conteso da Federico da Montefeltro (Ghibellini) e Sigismondo Malatesta (Guelfi). Una delle battaglie più cruente fu proprio quella di Monteluro, decisa dall’intervento degli Sforza, che andarono in soccorso dei Malatesta, decretandone la vittoria. Dopo aver resistito a mille battaglie, l’edificio fu vittima dell’ingiuria del tempo, delle intemperie e dell’incuria, tant’è che venne infine abbattuto. Sono invece ancora visitabili la chiesa di San Lorenzo e il Santuario di San Pio Martire a Tavullia, al cui interno si trovano delle reliquie di San Pio e il dipinto “L’Ultima Cena del Signore” di Nicolò da Pesaro, il Trometta, la chiesa di San Donato a Belvedere Fogliense del Settecento e la chiesa di Santa Maria, in quel che rimane dell’antico borgo di Monteluro. Durante la Seconda guerra Mondiale, Tavullia fu attraversata dalla Linea Gotica, il sistema difensivo creato dai tedeschi per rallentare l’avanzata degli Alleati. Un monumento ricorda dove correva, ben visibile per lo sventolio di bandiere canadesi, in onore delle truppe che espugnarono le fortificazioni naziste.

Tavullia, tuttavia, è conosciuta oggi in tutto il mondo come città di Valentino Rossi, il Dottore, nato a Urbino, ma cresciuto qui. Appena arrivati, si è accolti dalle bandierine gialle con il numero 46, mentre il cartello Tavullia è pieno zeppo di adesivi dei fan di tutto il mondo. Sulle mura cittadine spicca poi la gigantografia del fan club, nella cui sede in via Cesare Battisti 9 sono ospitati diversi reperti del Dottore, incluso il suo triciclo. Una visita merita anche il VR46 Store di via Balducci 1/a, con tutto l’abbigliamento e il merchandising ufficiale.

Superata Tavullia, s’incontra la prima vera salita dell’itinerario, lunga ma tranquilla, che conduce a Mondaino. All’inizio si incrocia il Castello di Montegridolfo, dove storia e bellezza si fondono in un racconto millenario. Immerso fra colline rivestite di ulivi e vigneti, le sue origini risalgono al XIII secolo, quando la nobile famiglia dei Gridolfi scelse questa località come dimora, dando il proprio nome al borgo, in un’epoca segnata dall’acerrima rivalità fra le potenti casate dei Malatesta di Rimini e dei Montefeltro di Urbino, in perenne lotta per il controllo della Valle del Fiume Conca. Fra i capisaldi della Linea Gotica orientale, come ricorda il locale Museo della Linea dei Goti, sorto proprio sui terreni di combattimento, Montegridolfo è tornato all’antico splendore a cavallo degli anni ‘80 e ’90 del ‘900, grazie all’opera di ristrutturazione e restauro resa possibile anche grazie a un gruppo di imprenditori locali. Oggi, si possono così di nuovo ammirare la torre dell’orologio, la stessa costruita dai Malatesta nel 1338, che sovrasta l’ingresso del borgo, le solide mura di cinta, rimaste intatte e originali, e Palazzo Viviani rinato come esempio di maestosa architettura medievale.

La salita termina in cima al colle su cui sorge Mondaino, lungo la cresta che divide le valli dei fiumi Tavollo e Foglia, facendo da spartiacque fra Romagna e Marche. Qui, pascolavano i daini, da cui il nome Mondaino (monte dei daini). I primi insediamenti risalgono all’età del ferro, ma la città acquisì importanza soprattutto nel Medioevo, in virtù della sua posizione strategica. La Rocca Malatestiana, o castello di Mondaino, garantiva, infatti, una visuale a 360°, consentendo di controllare tutti i territori vicini. Non a caso, dalla sua terrazza, si gode uno dei panorami più belli della Romagna. Costruita nel XIV secolo, fu Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, a decidere che dovesse avere ben 13 torrioni, un’importante cinta muraria e una serie di camminamenti sotterranei e cisterne da utilizzare in caso di assedio. Oggi, ospita il Museo Paleontologico, al cui interno sono esposti i fossili mioceni (pesci, conchiglie, foglie) ritrovati nel territorio circostante e databili 4 milioni di anni fa. La Rocca si affaccia su piazza Maggiore, risalente al 1800, caratterizzata dalla sua perfetta forma circolare, circondata da un porticato in stile neoclassico, merito dell’ingegno dell’architetto Francesco Cosci. Su tale spazio tondeggiante si innesta la via centrale del paese, cosicché gli abitanti di Mondaino definiscono la loro piazza anche “Piazza padella”. Di interesse, inoltre, è la Chiesa di San Miche Arcangelo, una delle più belle costruzioni del borgo, realizzata nel ‘700 nello stesso punto dove, secondo una leggenda, sorgeva anticamente un tempio dedicato a Diana, dea della caccia. Sul fronte gastronomico, uno dei prodotti più caratteristici è il formaggio, in particolare di fossa, protagonista dell’evento “Fossa, Tartufo e Venere”, in programma a novembre. L’evento per cui Mondaino è più famosa resta, però, il “Palio de lo Daino”, che si tiene a metà agosto per ricordare lo storico trattato di pace siglato nel 1459 da Federico da Montefeltro e Sigismondo Malatesta. In occasione della manifestazione, le vie del paese vengono animate da artigiani, “musici, cantori, giocolieri, trampolinieri”, giullari e streghe, con travestimenti rinascimentali e combattimenti di uomini in arme.

Da Mondaino si prosegue verso Saludecio, col suo profilo caratteristico fatto da campanili, torri e mura. Dal 1500 fino al 1800, il borgo è stato il centro più importante di questa parte della Valconca, una piccola capitale dove palazzi raffinati e casupole hanno creato uno stile popolare e nobile allo stesso tempo. La piazza è dominata dalla Chiesa di San Biagio, definita la cattedrale della Valconca, non solo per le dimensioni, la pregevole architettura settecentesca e la Cripta, raro gioiello neoclassico, ma anche per il notevole patrimonio di opere d’arte e la presenza delle spoglie del veneratissimo Santo Amato Ronconi. Interessante anche il Museo di Saludecio e del Santo Amato Ronconi, dove sono conservati arredi sacri, paramenti ex-voto di ottima fattura e soprattutto quadri di grande valore artistico, tra cui due Cagnacci. Le mura, che danno l’idea di quello che doveva essere l’insieme della fortificazione del paese, sono circondate da viali alberati e giardini. Ancora perfettamente conservate le due porte principali d’accesso, Porta Marina e Porta Montanara, risalenti all’epoca di Sigismondo Pandolfo Malatesta. Passeggiando per le vie, si possono inoltre ammirare 50 murales sul tema dell’800 e le invenzioni più importanti e curiose del XIX secolo. Da Saludecio, in facile discesa, si segue la Sp17 fino a Falda, alle porte di Morciano di Romagna, e di qui si prende a sinistra la Sp36, iniziando a salire verso Montefiore Conca, con 270 metri di dislivello da coprire in 6 km. Si arriva, così, ai piedi dell’omonima rocca malatestiana edificata nel XIV secolo. Rocca che custodisce il racconto della storia d’amore fra Costanza Malatesta e il cavaliere Ormanno. La nobildonna, figlia di Ungaro Malatesta, signore del castello, si innamorò del giovane duca tedesco giunto al servizio dei Malatesta, ma lo zio di Costanza, Galeotto Malatesta, mosso da rancore nei confronti della nipote, cercò in ogni modo di ostacolare l’idillio. Il 15 ottobre del 1378 assoldò un sicario e fece uccidere i due giovani amanti, nascondendone i corpi, che non vennero mai ritrovati. Leggenda narra che le loro anime vaghino ancora fra stanze e mura della Rocca, al cui interno è possibile ripercorrere l’intera vicenda. Il Castello (Castrum Montis Floris) costruito originariamente dalla famiglia Malatesta con funzioni esclusivamente difensive, fu ampliato intorno alla prima metà del ‘300 e successivamente ristrutturato e abbellito da Sigismondo Pandolfo nei primi decenni del XV secolo. Oltre che una possente costruzione militare, fu quindi un elegante palazzo residenziale che ebbe l’onore di ospitare importanti personaggi tra cui il re d’Ungheria Luigi D’Angiò, papa Gregorio XII e Papa Giulio II. Fino al 1458, rimase sotto il dominio dei Malatesta, per essere poi occupato l’anno seguente da Federico di Montefeltro. D’altra parte la sua posizione strategica, e al contempo panoramica, con una veduta d’insieme delle coste romagnole e di tutta la vallata, lo ha sempre reso un ambito caposaldo. Ancor oggi, l’imponente mole del castello, con le mura squadrate che svettano in cima a una collina, è inconfondibile e si distingue sin dalla riviera. Per quanto imponente è la rocca, è piccolo il borgo, abbarbicato com’è su un impervio sperone di roccia, con le poche case addossate al castello, lungo l’unico vicolo a semicerchio chiuso dalle mura, secondo l’impianto di origine medievale. Montefiore può, quindi, considerarsi la capitale medioevale della Valle del Conca, tanto da figurare nel prestigioso circuito dei “Borghi più belli d’Italia”. Dalla vetta di Montefiore Conca, un ripido toboga immerso nel bosco conduce a Pedrosa, dove si volta a destra in direzione Morciano e di qui, in breve, si raggiunge di nuovo la costa.

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