Italo Cucci: «Il mio sport, dalla Formula Uno alle Olimpiadi»

Archivio

Italo Cucci, Imola, siamo alle porte del Gran Premio di Formula 1 a Imola al circuito intitolato a Enzo e Dino Ferrari. Un Enzo Ferrari che lei ha dipinto in un suo libro.

"Nel mio libro “Ferrari segreto” ho tirato fuori le tantissime occasioni in cui siamo stati assieme, partendo da quella battuta che mi fece quando gli chiesi come mai fossimo spesso assieme nonostante io fossi un giornalista, categoria che lui classificava come “gli ingegneri del lunedì”. Mi rispose: “Sto bene con lei perché non capisce niente di automobilismo”: capii cosa era la storia con lui, si parlava di donne, di politica, dei giornali, lui sapeva tutto era il centro del pettegolezzo mondiale non solo emiliano. Dell’ultima volta con lui ho trovato una foto proprio l’altro giorno, dove lui ha vicino a sé mio figlio Ignazio che allora avrà avuto 8-10 anni: era un’immagine bellissima. Lo dovevi chiamare Drake quando era cattivo, Commendatore quando era un po’ su, ma alla fine ci teneva essere chiamato Ingegnere, dopo che gli diedero la laurea honoris causa a Bologna perché era la cosa di un autodidatta che era diventato un pozzo di scienza, una laurea dato ad un personaggio della storia italiana".

Formula Uno ed Imola sono un binomio inscindibile.

"Di Imola c’è un dettaglio curioso. Il territorio sul quale realizzare il circuito per la Formula Uno era stato identificato, ma c’era di mezzo un boschetto di alberi che Italia Nostra non voleva assolutamente venisse tagliato, fece una durissima campagna contro questo taglio. Il Drake disse pazienza, non faremo il circuito di formula uno e resterà quello delle moto che ha fatto Checco Costa. Ferrari ne parlò con Conti, che allora era presidente del Bologna ed editore del Guerin Sportivo dove io lavoravo, mentre Autosprint era il giornale numero uno del gruppo. Conti diceva sempre: “Mè al voi fèr”, visto che parlava spesso in bolognese. Una mattina sul Carlino esce una notizia: “E’ sparito il boschetto”, era successo che qualcuno di notte aveva tagliato gli alberi, quelli di Italia Nostra si arrabbiarono e nacque così l’autodromo dedicato a Dino. E’ bello che la Formula Uno ci torni stabilmente: ho girato tanti autodromi da direttore di Autosprint, ma bello come Imola mi sono rimasti solo l’Estoril ed il Nurburgring. Imola ha però una sua bellezza straordinaria, con una umanità che lo circonda perché tutti gli altri possono fare quello che vogliono ma.. “il mondo del mutor è in Emilia Romagna”. A Dubai come a Pechino sperano tutti che vincano la Ferrari, quello che porta il popolo nella Formula Uno è la Ferrari".

Passiamo al calcio e agli estetisti. L’Emilia Romagna in arancione li ha visti riaprire, Conte dopo Inter-Sassuolo li ha chiamati in causa quando è stato criticato per il gioco dell’Inter. Estetista o risultatista?

"Le verrà in mente che un ex giocatore dell’Inter ed opinionista di Sky è stato quello che, con una campagna che io chiamo “degli estetisti” e non degli esteti, ha indotto la Juventus a liberarsi di Allegri perché vinceva 5 scudetti ma giocava male. Io questo ex interista sto cercando di ritrovarlo fra gli opinionisti di Sky ma non lo sento, perché dovrebbe dire la stessa cosa della sua Inter che sta vincendo lo scudetto come, giocando sulle parole in un pezzo che ho scritto qualche giorno fa, diceva Boniperti. “Vincere non è importante, è quello che… Conte”: Conte sta rifacendo la sua esperienza all’Inter esattamente come ha fatto alla Juventus. Ho l’impressione che ci siano molti di quelli che parlano e scrivono di calcio avendo cominciato la loro vita di osservatori e commentatori con Guardiola. Questo mi mette in serio imbarazzo perché io ho cominciato nel dopoguerra con Gipo Viani…"

Vale quindi il proverbio “chi lascia la strada vecchia per quella nuova”…

"La Juve di ieri di Allegri e l’Inter di Conte oggi si rifanno a quella che è la maestria del calcio italiano: pensiamo sempre agli altri, Guardiola, quando non ha avuto più Messi, prima di tornare a vincere ha dovuto ricambiare tutte le carte in tavola. E potrei aggiungere un dettaglio: il tiki-taka chiamato gioco corto lo aveva inventato Corrado Viciani alla Ternana che l’aveva portata in serie A. Non cito la Ternana a caso: adesso è tornata in B, tornerà in serie A. Ho sentito un’intervista a Lucarelli, che alla domanda sulla vittoria della sua squadra senza dare troppo spettacolo ha risposto che nei primi 4-5 anni della sua carriera voleva giocare come Guardiola ed aveva raccolto solo degli esoneri. Questo è il calcio, non inventa più niente nessuno: la sostanza è che ci sono i calciatori, non puoi prendere dei calciatori professionisti a livello di grandi club e chiedere loro: “Sapresti giocare come il Barcellona?”. Fossi un giocatore risponderei: “Ma tu mi hai preso per quello?”

Che ne pensa dell’Inter?

"Lukaku è straordinario, confesso di non aver riconosciuto il suo valore per tempo quando è arrivato. L’uomo chiave dell’Inter si chiama Eriksen, che è stato comprato lo scorso anno e non sapevano cosa farsene, poi Conte, che è uomo che di calcio ne sa, gli ha trovato quella strana posizione di centrocampista con i piedi buoni davanti alla difesa ed è diventato la chiave dell’Inter. Tutto è andato a posto, vedere l’Inter andare in contropiede è una bellezza, anche se contropiede era una parola che non si poteva più dire".

Già, chi non dice “ripartenza” e “costruzione dal basso” viene quasi visto con sospetto.

"Ripartenza e contropiede sono due cose diverse. La prima significa che ti sono vicino e ti riprendo palla se sbagli, il contropiede era quello che fece definire a Brera la nazionale dell’82 squadra femmina, che aspettava l’avversario e lo colpiva con 50-60 metri di corsa: il contropiede è l’essenza più bella del calcio, tant’è che viene portato nella vita. Quando prendi in contropiede qualcuno più forte di te, ti avvantaggi di averlo preso in contropiede e lo fai fuori, tutto qui. La difesa dal basso è invece un’esperienza imbecille: se hai i piedi buoni puoi fare quello che vuoi, senza dimenticare che una volta potevi passare la palla al portiere che la prendeva con le mani. O hai i piedi del tuo portiere, altrimenti è meglio lasciare perdere: ho solo visto figuracce fatte da squadre come la Juventus con Bentancur ad Oporto".

Meglio non rischiare, giusto?

"Una volta scrivevo “i bambini ci guardano”. I bambini guardano la tv e sono appassionati di calcio ed all’improvviso da due anni a questa parte vedono questa cosa che alla scuola calcio non gli ha insegnato nessuno, nella squadra del babbo che vince gli scudetti non la hanno mai vista fare ed allora si chiedono “cosa è questa cosa, invece di andare avanti vanno indietro?”. E’ una manovra stupida e pericolosa, però vengono le mode… ”Giocare dal basso”: finirà sui dizionari ma è una stupidata, se la squadra che va a vincere lo scudetto o la Coppa Campioni vincesse per quello, allora troveresti certamente qualcuno a dire “io lo avevo detto”. Sinceramente questa costruzione dal basso l'ho vista fare qualche volta nella nazionale di Ventura con Buffon e anche allora si impasticciarono diverse volte. Ho l’abitudine che nel mio mestiere devo vedere, cercare di capire e cercare di raccontare: il calcio è facilissimo da raccontare se tu lo vedi, altrimenti bisogna che stai a casa".

A proposito di Nazionale, cosa ne pensa di questa di Mancini senza “blocchi” di una sola squadra come è spesso capitato in passato?

"Non c’è più il blocco della Juventus in difesa: una difesa così grande non l’aveva mai avuta nessuno, a parte la grande Inter. Adesso è rimasto solo Bonucci, che è più un propositore di gioco: Mancini gli mette vicino Chiellini, ma in generale Mancini fa una Nazionale tutta sua, con una particolarità. In passato si è discusso Bearzot che nel ’78 e nell’82 promuoveva in Nazionale giocatori che nei club o non erano utilizzati, oppure erano impiegati in un altro ruolo rispetto a quello nel quale li impiegava lui. Credo che per prima cosa chi guida la Nazionale debba essere un selezionatore, nel senso che deve chiamare chi vuole lui, una volta che la ha fatta diventa l’allenatore che dirige lui: Mancini ha studiato l’Abc ed a Coverciano per fortuna c’è stato poco, era già allenatore alla Sampdoria. Il simbolo del suo modo di fare la Nazionale è Zaniolo, che lui fa esordire in Nazionale senza aver ancora giocato nei club: dietro Zaniolo sono venute una serie di scelte, indirizzate alcune dal lavoro di Gasperini che ha lanciato giocatori all’Atalanta. Un altro simbolo è Barella, che tutti ora dicono “è il migliore in assoluto”: Mancini ci è arrivato prima di Conte. Si pensa sempre che uno debba andare in Nazionale quando ha fatto grandi cose nel club, Mancini questo ordine lo ha sovvertito. Parlavamo prima di Conte e del gioco: vi raccomando Mancini, ma attenzione, devi cercare la qualificazione quindi non devi fare della bellezza ma devi centrare l’obiettivo".

A proposito di obiettivo, c’è l’Europeo dietro l’angolo…

"Dico ormai da anni, ovvero dal ’68, che vorrei vincere un altro Europeo perché è molto più difficile del campionato del mondo. Eliminate le squadre più deboli che comunque in qualificazione possono dare rogne, l’Europeo ha le squadre più belle del mondo. In passato Artemio Franchi, presidente dell’Uefa, ebbe un confronto con Havelange, presidente della Fifa, che voleva organizzare un Mondiale allargato per guadagnare i voti delle africane. Franchi gli rispose che come Uefa poteva fare il suo Mondiale invitando Brasile, Argentina ed Uruguay e che così avrebbe organizzato il Mondiale più bello mai disputato: non vinciamo un europeo dal ’68, sarebbe bello tornare a vincerlo".

Il 2021 è anche l’anno delle Olimpiadi, altra manifestazione che lei conosce bene…

"Non da inviato, ma ho seguito Roma 1960 che è stato il capolinea mai più raggiunto delle Olimpiadi dal volto umano. Ho seguito le Olimpiadi “politiche”: Barcellona voleva dire cosa servono i Giochi ad una capitale ed una nazione, Barcellona è diventata una delle capitali più belle del mondo. Ho fatto le Olimpiadi di Mosca 1980 perché c’è stato quello che è il leit motiv della mia vita da giornalista: le Olimpiadi si devono sempre e comunque fare, senza che la politica ci metta il naso. Eravamo nel periodo della guerra fredda acuta, Mosca è stata spettacolosa mentre Los Angeles un po’ meno: se dico Mennea 1980 a Mosca dico una pagina storica dello sport mondiale ed italiano. Ho fatto poi le pre-Olimpiadi di Atlanta, quando vennero assegnate per la Coca Cola togliendole ad Atene, quando sarebbe stato il centenario, quindi “a so’ turnè a ca’. Io alle Olimpiadi non posso fare il calcio ma non posso neanche pretendere di fare il maestro di atletica o di altri sport. Non ho mai portato via il pane ai miei colleghi quando ero direttore, visto che erano più preparati di me, lasciandoli lavorare tranquilli. Poi è venuto Pechino e nuovamente si diceva di non andarci per motivi politici: il direttore del giornale per cui scrivevo allora diceva: “non andiamo a Pechino perché c’è il comunismo” ma non è giusto e lo dice uno che è stato un viscerale anticomunista. E’ stata una delle Olimpiadi più belle che ho mai visto".

Ecco, vedere: causa Covid, ogni manifestazione ha perso il “sale” del pubblico che adesso sta davanti alla Tv. Quanto si perde?

"Ho accolto non bene l’avvento del calcio e dello sport televisivo, io il giro del mondo l'ho fatto 4 volte. I miei colleghi spesso restano a casa davanti alla tv e ho preso atto che lo sport mondiale è diventato televisivo: certo che il pubblico è importante ed è un elemento che manca, ma non è vero che i giocatori e gli atleti cambiano. Il Giappone risponde a questo problema del Covid in un modo semplice: il nostro pubblico ci sarà in maniera limitata, scusateci, ma il vostro resterà a casa davanti alla tv. Ci devono andare gli atleti che speriamo facciamo qualcosa da ricordare: di tutte le ultime Olimpiadi mi ricordo Bolt, speriamo che vengano fuori personaggi che tieni nel cuore per una vita".

C’è un atleta italiano che le piacerebbe vedere vincere?

"La Pellegrini in questa classifica non la considero, perché una che fa 5 Olimpiadi è chiaro che va a Tokyo per provare a vincere. Ha raggiunto un livello superiore a qualsiasi altra protagonista dello sport mondiale: la storia della Pellegrini la vedo sempre in maniera affascinante, mi piacerebbe vedere vincere dei nostri giovani che rinsanguano un movimento dell’atletica che è un po’ basso. Mi piacerebbe vedere vincere la Iapichino o Tortu, non possiamo restare tutta la vita ad aspettare Mennea: ci vogliono i giovani, ci vuole qualche bambino che dica “io sono cresciuto nella stagione della Iapichino, mentre mio papà mi raccontava la favola di Mennea”. Voglio aggiungere un piccolo dettaglio…".

Prego…

"Sull’atletica voglio citare Schwazer: nelle disgrazie che ha avuto, io l'ho sempre difeso, nelle ultime Olimpiadi ero in Rai ad "Uno Mattina" quando mi chiesero della sua storia legata alla possibile manomissione delle sue urine, visto che si diceva fosse impossibile farlo. Io ricordai che nel ’64 un mascalzone aveva drogato le urine di 5 giocatori del Bologna e quando questo venne scoperto, gli restituirono i punti, l’onore e poi andò a vincere lo scudetto: queste cose si fanno…".

Bologna: un capitolo della sua vita, anche dal punto di vista letterario. Quella di Haller è stata la prima biografia che lei ha scritto, alla quale sono poi seguite quella di Bulgarelli, Causio e Chiellini. C’è un filo che lega questi giocatori?

"Ho cominciato con Haller perché un giovane editore mi disse “A Bologna si parla ancora di Biavati, vediamo se riusciamo a dare un aggiornamento a questa cosa”. Haller era uno spettacolo in quel momento. A quel punto ho parlato io di un vero amico come Bulgarelli per cui se si voleva celebrare la vera gloria del Bologna bisognava fare un libro su di lui. Poi mi sono dato a tantissime altre cose, finchè un giorno mi hanno chiamato da una casa editrice dicendo: “Stiamo tentando disperatamente di fare un libro su Causio, però lui ha posto la condizione che voleva farlo con Cucci”. Mia risposta: “Mi dispiace vi dia tanto fastidio l’idea, ma se lo volete fare, le condizioni le dovete accettare”. Il libro andò benissimo, dal ttiolo Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta. Di questi tempi con Amedeo Bartolini (editore di Rimini) abbiamo fatto un libro sulla favola della Juventus ed un libro “Azzurro” sulla storia della nazionale: speriamo che i risultati azzurri lo trascinino…".

Tantissimi libri ma anche migliaia e migliaia di articoli. C’è un articolo che avrebbe voluto scrivere e non è riuscito a fare?

"Devo dire che forse ho avuto fortuna, non mi è mancato niente. Ho perso lo scudetto del Bologna, non ho potuto vedere lo spareggio di Roma: io facevo la parte giudiziaria quell’anno, ero appena passato a Stadio venendo dal Carlino, dove mi occupavo di giudiziaria ed avevo appena concluso il “caso Nigrisoli”. Il mio primo evento a Stadio fu uno spareggio per restare in D a Lendinara fra Marzotto e Faenza: venivo usato per interviste e cose varie, quando scoppiò il caso doping nel Bologna il direttore Aldo Bardelli (uno dei grandi maestri che ho avuto assieme a Brera, Boschi, Biagi e Spadolini) mi fece seguire la questione. Quando si chiuse il caso fu una spinta enorme per la mia carriera, visto che la mia parte l’avevo fatta. Ci fu il momento di fare le designazioni per lo spareggio Inter-Bologna: Turrini-Biagi-Bardelli andarono a Roma, mi ricordo che “fregarono” anche Adalberto Bortolotti che andò a fare lo spareggo salvezza Sampdoria-Modena, anche lui non potè vedere lo spareggio di Roma. Mi bastò la vittoria, resta il fatto che sono uno dei pochi che sapeva cosa c’entrava Capra al posto di Pascutti in quella partita nella quale Bernardini diede quella lezione di calcio ad Herrera. Pascutti era un attaccante, invece a sinistra Corso si ritrovò davanti Capra che era un terzino: Bernardini di quella mossa un po’ si vergognò, Brera gli diceva che queste cose le doveva insegnare agli altri allenatori. Bernardini disse “No, io devo insegnare calcio non i trucchi”.

Trucchi. Uno celebre riguarda il Conte Rognoni, fondatore dell'Ac Cesena: ci starebbe ancora uno così in questo calcio?

"Ce ne sarebbe un gran bisogno. Il mio libro “Il capanno sul porto” era una storia su un personaggio che ha tenuto in scacco tutti i maggiori personaggi di 40 anni di calcio: si parte dall’avventura negli anni ’50 in cui tutti i grandi del calcio (quelli che io chiamavo “i ricchi scemi”) sono riuniti per definire il futuro del calcio in hotel a Firenze. La sera prima del convegno decisivo, in conte Rognoni passò dall’hotel dove erano riuniti e prese le scarpe di tutti i presidenti che, una volta, venivano lasciate fuori dalla camere perché venissero lucidate dagli inservienti dell’hotel. Il conte passò con un sacco, le prese e le buttò nell’Arno: all’alba tutti i presidenti andarono a votare a Coverciano dicendo sì alle proposte di Rognoni scappando via in fretta e furia, ecco come risolveva i problemi il Conte. Ci ho lavorato assieme, a volte era un torturatore e ti sfiniva, ma posso davvero dire che non ci sono più maestri di quel genere: quelli che conoscono talmente bene il calcio da poterlo manovrare in senso positivo anche con interventi negativi. Lui è stato il pubblico ministero facendo danni magari notevoli per applicare la giustizia nel momento in cui la correzione volava. Lui scriveva sul Guerin Sportivo una rubrica “Zufolo”, dando frecciate agli arbitri: governava da lontano anche quel settore, per la Var secondo me li avrebbe mandati in galera".

Rognoni ci porta a parlare di Romagna: Cesena ci potrebbe ancora stare in serie A?

"Parlai con Dionigio Dionigi e con Renato Lucchi e mi raccontarono del Cesena, quanto tornai a Stadio feci presente che in Romagna c’era una cosa nuovissima, ovvero un commerciante locale di frutta, tale Manuzzi Dino, che manda dei treni di mele in Germania e che ha preso il Cesena per portarlo in serie A. A Bologna già ridevano e chiedevano come: quando gli dissi che l’idea era quella di mettere una tassa di 5-10 lire su ogni cassetta di frutta che partiva per l’estero e lì mi coprirono di insulti. Ecco, il Cesena è quello, il Cesena può tornare dove vuole con quei criteri: nei tempi belli del Cesena, c’era un editore di un giornale che si chiamava Romagna, io allora feci un articolo “I rumagnol i n’è zà di pataca” di due pagine spiegare cosa voleva dire “il pataca”. I romagnoli non sono pataca, quando si mettono a fare le cose creano cose di importanza mondiale: il Cesena nacque molto modestamente quando c’erano già miliardari alla Juve ed all’Inter. Oggi se gli capiterà di unire saggezza tecnica a gestione intelligente ce la potrà fare. Il Cesena io lo chiamavo l’ascensore a quei tempi, ovvero quella squadra che scende e risale un po’ come l’Empoli sta facendo negli ultimi anni mostrando la sua forza".

Empoli vuole dire Dionisi per chi legge in Romagna: un allenatore che dall’Imolese sta volando in A…

"L’Empoli ha una struttura gestionale sensazionale, perché aggiunge alla sua capacità la possibilità di vendere anche i giocatori che ha trovato. Quando c’è Corsi di mezzo, lui non sbaglia: faccio parte della giuria del Premio Prisco, che si consegna tutti gli anni a Chieti. Fino all’ultima edizione, il presidente era Sergio Zavoli. Ricordo quando abbiamo premiato Corsi nell’ultima edizione: avevo accennato a Sergio che avrei dato il premio a Sarri, ma Sergio mi disse “quello che fuma sempre, che ogni tanto dice parolacce? No dai diamolo al presidente”. Quando Corsi salì sul palco, la cosa che stese Zavoli fu: “Ringrazio per questo premio graditissimo, però lo dovevate dare a Sarri”. Gli allenatori dell’Empoli state sicuri che sbagliano difficilmente".

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui