Intervista a Davide Ranalli, sindaco di Lugo

Lugo

LUGO. Difficilmente Davide Ranalli, sindaco di Lugo, rilascia interviste. Questa volta lo ha fatto a casa sua, di buon mattino, a ora di colazione, davanti a una tazza fumante di the. Ne ha approfittato per rispondere a varie polemiche e alle ultime frecciatine che alcuni politici gli hanno scagliato contro.

Lei è un politico giovane (ha 34 anni), ha iniziato da ragazzo, come le sardine, cosa pensa di loro?
«È un modello che riprende, non per contenuti e organizzazione, la spinta innovativa del ’68; pongono attenzione su temi come la dialettica politica, l’odio e le questioni mondiali. Sono un’opportunità, anche per il centrosinistra, il Pd dovrà confrontarsici».

In questo mare di problemi della politica, lei si sente più giovane delfino o un gambero pronto a fare passi indietro?
«Nessuna delle due. Faccio politica e la amo fin da giovane ma non sono mai stato il delfino di nessuno. Non farò mai un passo indietro: per i prossimi 4 anni sono il sindaco di Lugo».

Com’è Lugo oggi?
«La città è cambiata, ha trovato nuovi stimoli, un centro storico rinnovato, molta più partecipazione e un maggiore dinamismo rispetto al passato».

Come la immagina domani?
«Mi aspetto che Lugo sia una città europea; dovremo intervenire su opere di riqualificazione di spazi urbani, ma anche su cultura e assistenza per gli anziani. Servirà l’impegno di tutti; e i cittadini, appena compreso, sono sempre stati disponibili».

Il governo decide di sopprimere la polizia stradale, cosa direbbe al ministro dell’Interno?
«Direi che ogni volta che si chiude un presidio - che sia polizia stradale o polizia di stato - è un grave errore, per due motivi: si limita la possibilità di essere e sentirsi sicuri e si da l’idea di uno Stato che arretra. Lo dico ora come lo avrei detto a Salvini».

Oggi a Roma governa il Pd, così in Regione. Si sente agevolato?
«Non è il termine giusto. Io continuo a fare il mio lavoro chiunque ci sia, ma riconosco che in questi ultimi cinque anni, con Bonaccini in Regione, abbiamo avuto enormi possibilità, aggredendo tutti i possibili bandi e fondi. Sicuramente avere un rapporto più diretto agevola, ma solo sui ruoli e non su altre modalità».

Italia Viva e i renziani l’hanno criticata duramente. La invidiano o vogliono correggerla?
«Non penso sia invidia ma credo anche che non sia voglia di correggere. Semplicemente vogliono indebolire la mia figura, ma non è un disegno solo dei renziani, c’è anche un pezzo del Pd, qualcuno che “soffre” questa mia modalità e coerenza. Dietro tutto questo c’è un suggeritore, nemmeno troppo occulto; una volontà precisa di restringere il campo dei politici locali, soprattutto quando hanno un certo consenso. I soliti giochi di potere».

Lei però di Renzi ha quel mix di ironia e irriverenza che per molti è fastidioso. È l’ unico che riesce a litigare con la Pro Loco.
«Litigare è una cosa seria, non l’ho mai fatto con loro. Mi piace discutere e non mi sottraggo mai alla battaglia politica, per me è un esercizio intellettuale. Questo è il mio carattere, che spesso ci ha permesso di ottenere risultati».

Si è dimesso da presidente dell’Unione, ma Lugo è il cuore di questa realtà. Che ne sarà della sua importanza ora che il suo sindaco non ha nessuna delega?
«Lugo rimane importante; è stata una scelta coerente. Ora servirà un percorso per recuperare questo strappo, ma non devo esser il solo a volerlo. Non ho e non voglio nessuna delega finché non ci saranno le condizioni per un riavvicinamento».

Forse meglio una Br-Exit, intesa come Bassa Romagna Exit?
«Non ho mai pensato a un’uscita del Comune dall’Unione, anzi ne auspico uno sviluppo».

Le tre priorità per questa città?
«Il rilancio dell’impresa e del lavoro cercando di recuperarne il ruolo fondamentale; il welfare e la sanità ripensando le politiche sociali; e la necessità di continuare a esser una comunità coesa, ricucendo il rapporto tra le frazioni e le periferie con il centro».

Ciclabili e polemiche, i lughesi sono poco ecologisti o vi spiegate male voi?
«Io penso che abbiano una grande sensibilità su questi temi. La verità è che siamo in un’ epoca strana, c’è una parte più critica - per ragioni politiche oppure oggettive - di cui si sente sempre più forte la voce che sovrasta su quella che silenziosamente è a favore. Ormai nelle assemblee si dà sfogo a delle pulsioni che evidenziano solo il dissenso, talvolta in modo violento».

Il rapporto con le opposizioni?
«Direi che ne abbiamo solo una: quella della Lega. Dai toni sempre duri del loro leader nazionale mi sarei aspettato uno scontro più duro con loro, invece ho visto la volontà di collaborare e lavorare insieme; registro un dibattito molto civile, forse perché non ci sono antiche questioni personali da sanare. Non ci sono altre forze di opposizione».

Finisce San Remo, prendiamo due canzoni che vinsero in passato e mettiamo un punto interrogativo. 1987, Morandi, Tozzi e Ruggeri: “Si può dare di più”?
«Certo, si deve, anche nella capacità di relazionarsi e nell’umiltà di ammettere gli errori. Ho cercato di tracciare la direttrice per i prossimi anni, allargando l’orizzonte temporale. Dare di più deve essere una prerogativa».

E allora concludiamo coi vincitori del 1990, i Pooh: “Uomini soli”.
«La politica è fatta di solitudine. Va fatta in maniera collettiva ma poi la responsabilità di prendere quella determinata decisione ricade su una singola persona, che spesso poi si sente - o è lasciata - sola. Io per attitudine cerco di fare gruppo, ma questa condizione può lasciare l’ amaro in bocca; quando si torna a casa e si apre la porta e non c’è nessuno ad aspettarti. Qui devi fare i conti con la tua solitudine, con la quali impari a convivere. Talvolta diventa un elemento di forza, molto più spesso un grande punto interrogativo. E ti chiedi se vale la pena andare avanti».

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