Intervista a Laila Tentoni «Difendiamo la cucina di casa»

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Solare, impegnatissima, in Casa Artusi Laila Tentoni è una presenza costante fin dagli esordi del progetto. Ora che il centro di cultura gastronomica è diventato Fondazione, dal 2 aprile scorso, lei ne è divenuta la presidente. E come tutte le persone che incontrerete da queste parti, Pellegrino lo nomina come un componente della famiglia o un caro amico, una persona viva e presente nella vita quotidiana di questa piccola città che, come dice lei stessa, «grazie a Pellegrino Artusi oggi compare sulle carte geografiche, conosciuta come la capitale del cibo. Un appellativo che ci siamo guadagnati sul campo, perché non parliamo solo di ricette e tradizione, ma affrontiamo il tema del cibo dal punto di vista globale, olistico, come direbbe Carlo Petrini».
In oltre vent’anni di attività come è cambiata Casa Artusi?
«Ora con la nuova natura di Fondazione è più agile e certamente sarà più efficace sul fronte del marketing territoriale. Potrà creare più progetti e cercare fondi per realizzarli, essere quindi più presente nella stessa Forlimpopoli, in Romagna e nel mondo».
Ma cosa succede quotidianamente fra le mura della Casa?
«Che a conti fatti passano circa ventimila persone all’anno, così almeno nel 2018, fra le nostre scuole di cucina, i nostri laboratori, incontri, e dalla nostra biblioteca gastronomica, o fra i cimeli che Pellegrino stesso ci ha lasciato. Arrivano per il 40% dall’Emilia Romagna, per il 30% dal resto d’Italia, per il 20% da altri paesi europei e per il restante 10% da paesi extra Ue. Sono studenti di gastronomia, aziende, tour operator, appassionati, turisti. Questi ultimi assomigliano abbastanza, almeno per attitudine, ai rampolli di fine Settecento inizio Ottocento che viaggiavano in Italia per vivere esperienze. E qui le trovano, poi si fanno loro stessi promotori di quello che qui hanno vissuto: una storia e una cultura gastronomica, l’esperienza della manualità in cucina, i sapori veri».
Intanto di Artusi si continua a Parlare nel mondo, nelle scuole e nelle Università. Ma anche nei ministeri.
«Non più solo nelle Università italiane, ma negli Stati Uniti, nel Sud America, in Canada, in Asia. In Italia i nostri interlocutori diretti sono gli Istituti di cultura, la Crusca che riconosce all’Artusi il ruolo fondamentale di divulgatore della lingua italiana. Contemporaneamente dialoghiamo anche col mondo, ultimamente col Giappone, perché stiamo per pubblicare l’Artusi anche in giapponese, che ancora mancava. Sediamo al tavolo ministeriale degli Esteri per il progetto della cucina italiana nel mondo. Ora stiamo facendo un grande lavoro con l’associazione degli emiliano romagnoli all’estero raccogliendo le loro ricette, in particolare da Argentina, Brasile e Germania. È un lavoro culturale interessantissimo, di cui trarremo le fila a novembre nell’ambito della Settimana della cucina italiana nel mondo, vedere come italiani di terza e quarta generazione abbiano saputo mantenere la propria identità di origine attraverso il cibo, a volte custodendolo meglio di quanto non si faccia nella stessa Italia».
Già, perché come racconterete a questa festa, nel paese della gastronomia in realtà si cucina sempre meno, si millanta sempre più di conoscere l’argomento cibo, invece…
«In campo gastronomico viviamo in Italia una dicotomia fra quanto si dice di sapere di cibo e quanto si sa davvero. D’altro canto vediamo coi nostri occhi, nella nostra scuola di cucina, quante persone siano effettivamente desiderose di aumentare le loro conoscenze in cucina, consapevoli che il cibo fa bene alla salute se scelto bene e ben cucinato, altrettanto alle relazioni. Parliamo ovviamente in primis di cucina di casa, che è quella che a noi interessa e che stava a cuore ad Artusi, quella che si pratica in famiglia. È questa che va rilanciata, in un mondo sempre più popolato da chef. Per questo per il 2020, anno del bicentenario della nascita di Pellegrino Artusi, pubblicheremo il manifesto della cucina di casa, ci sta lavorando il nostro comitato scientifico, appena rinnovato».

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