Lei è Letizia, l'Influencer che va in bici senza freni!

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Per la nostra rubrica sugli Influencer romagnoli oggi abbiamo Letizia Galvani, una ragazza che ha saputo unire molto bene la sua passione per le bike al mondo del social network del momento, Instagram.
In questa intervista ci racconterà di "pony", di pelle d'oca e di come si superano i limiti in una gara senza freni, ma senza freni per davvero!


Ciao Letizia, benvenuta al Corriere Romagna, parlaci un po’ di te...

Eccomi! Sono Letizia, ho 23 anni e vivo a Massa Lombarda, piccolo paese Romagnolo in provincia di Ravenna. Da sempre la mia vita è stata alimentata da due espedienti: lo sport e l’arte. Sono apparentemente diversi ma allo stesso tempo essenziali e simili. Ho frequentato infatti il Liceo Artistico di Ravenna e successivamente l’accademia di Belle Arti a Verona.


Come è nata la tua passione per il ciclismo?

Da piccola volevo giocare a Calcio, ma ero troppo timida per aggregarmi ai maschietti, come seconda scelta c’era il ciclismo, non è stato un amore a prima vista.

Già dai primi anni di vita assistevo a gare e allenamenti di mio fratello (più grande) ed era quasi inevitabile che anch’io seguissi le sue orme.

Appena raggiunsi l’età di 7 anni, subito in sella ad una mini bici blu e rossa, sembrava un giocattolo, contemporaneamente mi cimentai in molti altri sport, dal nuoto alla pallavolo, dal basket alla boxe; ma la bici ebbe la meglio e mai poi mai avrei pensato che oggi, dopo 16 anni, percorressi ancora questa strada.


Qual è la tua giornata tipo?

Sveglia presto al mattino, qualche esercizio di risveglio muscolare a digiuno (ammetto che ogni tanto primeggia la pigrizia e mi fiondo direttamente in cucina) e colazione abbondante.

Non manca mai una tazzona di caffè, una piccola dipendenza che ad inizio giornata non può mai mancare.

Dopodiché prendo il mio pony (è così che soprannomino la mia bici... "Cavallo" lo trovavo inappropriato dato il mio metro e sessanta) e parto per l’allenamento, solitamente pedalo sempre dalle 2 alle 5 ore, tranne i giorni di defaticamento muscolare in cui mi concedo un’oretta molto “easy”.

Al rientro pranzo, vado a lezione e alla sera studio o mi alleno in palestra. Da qualche mese ho terminato l’università ed ora ho più tempo libero per concedermi agli hobby, agli amici e alla famiglia.

Amo la fotografia, disegnare e scoprire ogni angolo del mondo, mi avvince imparare usanze e routine differenti, questioni di cultura, abitudini e punti di vista.


Il tuo profilo Instagram è molto seguito e ben curato tra immagini e storie, ti potremmo quindi definire una cycling influencer. Ti piace molto curare il tuo profilo? Hai amici che si improvvisano fotografi o c’è lo zampino di qualche professionista?

Forse definirmi "cycling influencer" è un po’ avventato, ma ci sto provando.

Al giorno d’oggi i social network sono fondamentali ma andrebbero usati nel modo giusto; ammetto che stanno influenzando i rapporti umani, ma allo stesso tempo ti permettono di conoscere tantissime persone e comunicare con brand e aziende.

Per via del ciclismo ho instaurato rapporti con amici lontani; a maggior ragione grazie ad internet posso sempre seguirli e comunicare con loro.

Mi piace molto curare il profilo Instagram perché diventa una cartolina di presentazione, il primo impatto che il mondo social ha di te, ovviamente è impossibile far trapelare ogni sfumatura del proprio carattere tramite uno schermo.

Avere a che fare con tante persone è complicato, una sola parola o fotografia sbagliata può innescare pregiudizi agli occhi di chi personalmente non ti conosce.

Io cerco di essere il più naturale possibile e mi piace condividere le piccole avventure che accompagnano le mie giornate, è un continuo confronto, “gioco di scherzi” e autoironia con le persone che ti seguono. Tengo a sottolineare che chiaramente la privacy e ciò che non voglio mostrare rimane lontano dal cellulare.

Per quanto riguarda le foto, sì… C’è sotto lo zampino di entrambi: immagini di alcuni shooting sportivi e competizioni nascono da professionisti, mentre le immagini quotidiane sono scatti di amici.


Giri spesso il mondo in lungo e in largo, che sensazione dà pedalare in posti sconosciuti?

Devo ringraziare assolutamente il ciclismo! Quest’ultimo mi ha permesso di visitare diversi luoghi del mondo, anche molto lontani; come ho citato precedentemente, amo viaggiare, scoprire e imparare.

Aggiungo che è emozionante competere tra ragazze straniere: sapete il motivo?

Perché quando corri e condividi la stessa fatica, realizzi che siamo tutte uguali e umane.


Qual è la gara più eccitante che hai percorso?

La gara più eccitante che ho percorso è stata la Redhook di Milano. Era il 6 ottobre 2018, ultima delle 4 tappe del ‘campionato’ svoltasi rispettivamente a New York, Londra e Barcellona. Un confronto mondiale, una corsa veloce, senza freni, ma senza freni veramente; parlo delle cosiddette criterium, ovvero percorsi cittadini in cui è possibile gareggiare solo con bici senza freni e con pignone fisso.

Gare per pazzi, pericolose e piene di rischi, dicono.

Ma dicevamo che era il 6 ottobre, una tipica giornata autunnale, brutta a mio parere. Venne sera e l’ora di partire.

Entravamo nel circuito per schierarci sulla linea di partenza e già gli spettatori urlavano all’impazzata, poi partì il conto alla rovescia da parte dello speaker.

Un improvviso silenzio mi urlava nelle orecchie e mi picchiava la testa, nessuna di noi osava fiatare ma il rumore del pubblico era assordante.

In quei dieci secondi provavamo tutte le stessa adrenalina e la voglia di partire. Ricordo che le gambe erano ricoperte di pelle d’oca e i muscoli vivevano di vita propria.

Eravamo ai meno tre e mi sentivo come una bomba con la miccia accesa.

Poi il tanto atteso “GO!”, la bomba esplose e tutta la tensione accumulata si trasformò in velocità... La guerra era iniziata.

Tutto si muoveva senza senso e l’unica figura che focalizzavo era la ruota della ragazza davanti a me.

Il pubblico non aveva più una forma: ombre che si arrampicavano sui muretti, chi fischiava, chi beveva e chi strillava da ogni parte del percorso come se non ci fosse un domani.

I volti delle altre ragazze erano solcate dallo sforzo, la fatica era tale che non so esattamente cosa mi successe.

Lo spazio intorno era completamente dissennato e mi sembrava di vivere all’interno di un quadro futurista.

Ogni elemento o colore era sdoppiato e nulla più aveva una forma razionale.

Ci furono anche diverse cadute e ragazze che rotolavano a terra più delle ruote stesse. Istanti di panico, acuti per quanto rapidi.

Nel frattempo continuava l’esasperante risalita sulle prime ma non chiedetemi con quali forze, non mi sentivo più le gambe e gli occhi si velavano.

Poi l’ultima curva, un’avversaria intralciava le mie ultime sofferenze della gara.

Per superarla, ripresi a spingere con tutta la potenza che rimaneva nella mia carne e stringevo il manubrio come se volessi mangiarlo.

Stavamo tirando un filo ormai consumato che si stava per rompere.

Quel filo che si concretizzò nella linea bianca a terra che segnava l’arrivo, quasi non lo vidi da quanto ero ipnotizzata dal momento, ma ricordo che lo passammo ancora affiancate.

Alla fine terminai tredicesima ma quella sera mi resi conto che quando stavo per mollare, in fondo una minima energia c’era ancora.

Avevo superato il mio limite e per questo ero appagata come una vincitrice.

Anche nei momenti bui quando tutte le porte sembrano chiuse, prima o poi qualche colore busserà e ti cambierà la prospettiva.

Questa è stata la mia Redhook.


E la prossima quale sarà?

Purtroppo le Redhook nel 2019 non si svolgeranno, ma la speranza è l’ultima a morire per gli anni a venire.

Per quanto riguarda il mio futuro, cerco di vivermi la giornata.

Non ho programmi ben definiti ma sicuramente vorrei rimanere nell’ambito dello sport, della fotografia e dell’arte.

Un lavoro che unisca il tutto rimane la mia aspirazione di vita.


Ti va di raccontarci qualcosa di te che ancora non ci hai detto?

Dato che trattiamo di mondo social e immagine, ammetto di avere il computer pieno di fotografie… Ma il mio carattere alquanto testardo e minuzioso mi porta a caricarne solo una su mille.

Se un piccolo particolare mi disturba, addio foto e avanti un’altra!


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