Industria e ambiente: la Cozza Selvaggia di Marina di Ravenna

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Quando settant’anni fa l’Agip iniziava le prime esplorazioni metanifere nel distretto di Ravenna, non poteva certo immaginare che una delle attività che da lì sarebbero fiorite sarebbe stata quella della raccolta cozze. Del resto, i primi pozzi metaniferi erano a terra e solo nel decennio successivo si sperimenteranno le prime ricerche in mare. La Cozza Selvaggia di Marina di Ravenna, prodotto di eccellenza del quale si è appena conclusa la festa annuale che la celebra, cresce proprio lì, nei piloni delle piattaforme che si inabissano nell’Adriatico davanti a Ravenna. A ripulire le piattaforme dai mitili sono due cooperative di pescatori: la Romagnola e il Nuovo Conisub. Ogni nave ha quattro persone a bordo, tutti operatori tecnici subacquei, che si immergono e – da aprile a ottobre – raccolgono le cozze che crescono nelle piattaforme. Un lavoro che, per Eni, è una parte fondamentale per la manutenzione delle infrastrutture metanifere che da decenni caratterizzano il panorama ravennate. «Questo lavoro – dice il presidente della cooperativa Romagnola Sauro Alleati – è nato praticamente insieme al distretto energetico. Anche se è un prodotto d’eccellenza che riscontra sempre più apprezzamenti, rappresenta soltanto il 5% dell’intera produzione regionale». A seconda delle annate, si raccolgono dagli ottomila ai 12mila quintali l’anno. La particolarità della cozza di Marina di Ravenna è quella di essere generalmente più piena rispetto a quelle di allevamento e la differenza, quando finisce nei piatti in una delle tante ricette pensate per questo prodotto, si sente eccome.

Le cozze, una volta staccate dagli operatori subacquei, vengono poi issate sulle barche e lavorate. Per legge devono avere taglia superiore ai cinque centimetri. Dopodiché si procede all’insacchettamento e alla pesatura. I molluschi, prima dell’immissione al consumo, sono sottoposti a rigidi controlli da parte della Ausl sulla componente biologica, ai quali si aggiungono i controlli delle autorità competenti sulla gestione ambientale delle piattaforme Eni. Il distretto dell’azienda sostiene, per quanto è di sua competenza, il percorso di valorizzazione della cozza, in quanto essa è testimone della sinergia tra attività industriali, ambiente e sviluppo economico del territorio. A favorire il percorso di valorizzazione della Cozza Selvaggia di Marina di Ravenna nelle tavole degli italiani è stata Slow Food

Negli ultimi anni a questo mosaico di esperienze che gravita attorno al mercato ittico e all’Adriatico romagnolo si è aggiunto anche un altro soggetto alla salvaguardia dell’Adriatico: il Cestha (Centro Sperimentale Tutela degli Habitat) che nel suo esercizio di protezione della fauna marina ha intrapreso un cammino a fianco dei pescatori nello sfruttamento sostenibile dei prodotti del mare. Il Cestha gestisce, tra le sue tante attività, anche il centro di recupero delle tartarughe marine. Durante la Festa della cozza, in occasione di un’uscita in mare che aveva proprio lo scopo di mostrare come avviene la raccolta di cozze nelle piattaforme offshore, sono state liberate due che tartarughe erano state recuperate e curate dai professionisti del Cestha. Un altro modo per dimostrare come, con le giuste attenzioni e l’impegno di tutti i soggetti, turismo, ambiente e ricerca di idrocarburi possono ben convivere. Non a caso, le tartarughe sono state liberate proprio vicino alle piattaforme, dove trovano un ambiente pulito e sicuro, dal momento che nei loro pressi vige il divieto di pesca con le reti. Una sorta di oasi naturale in cui le tartarughe possono riprendere in pieno le proprie forze prima di tornare ad esplorare le profondità marine.

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