Inchiesta sugli hotel: minacciato perché voleva la busta paga

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Non hanno voluto dare la busta paga all’operaio che la reclamava e sono finiti nei guai. A far partire l’inchiesta è stata la denuncia del dipendente di uno degli alberghi gestito almeno in apparenza dai Manfredi. Forte di un contratto stagionale a tempo pieno, dopo un paio di mesi in cui aveva visto solo degli spiccioli, è andato a reclamare il giusto compenso: «Secondo i miei calcoli mi mancano 2.500 euro». Non lo avesse mai fatto. I Manfredi non la presero bene. Uno gli disse che se avesse continuato a chiamarli si sarebbe fatto «molto, molto male». L’altro gli disse che comportandosi così non avrebbe visto più nemmeno un euro. Il fatto è che il dipendente aveva ascoltato le loro vanterie, l’atteggiarsi a boss anche quando erano a tavola: «uno indossava gli occhiali da sole anche al chiuso». E soprattutto l’operaio sapeva, per averlo visto con i propri occhi, che un loro presunto sgherro aveva intimidito con una pistola il proprietario di uno dei “loro” hotel che pretendeva i soldi dell’affitto. Invitato a rivolgersi a un avvocato per avviare una causa contro di loro, l’operaio se ne era guardato bene, ma spaventato dalla possibile vendetta di quelli che lui riteneva pericolosi criminali, dopo avere fatto delle registrazioni nascoste era corso a vuotare il sacco con le forze dell’ordine. Di lì gli investigatori sono via via risaliti ai legami societari dietro a quegli hotel a gestione familiare e quindi hanno raccolto le testimonianze di altre persone minacciate (Barone è estraneo a tutti gli episodi di violenze, minacce e intimidazioni). In un altro faccia a faccia con un altro imprenditore che pretendeva il pagamento per il contratto di locazione d’azienda i fratelli Manfredi, con la collaborazione di Merone, lo avevano avvertito che intendevano compensato il tutto con i lavori di ristrutturazione eseguiti in hotel. Me nell’interrompere la trattativa sarebbero tornasti a evocare la loro presunta appartenenza alla criminalità organizzata calabrese così da spaventarlo. Lo avrebbero minacciato dicendogli che avrebbero usato violenza contro di lui e contro la sua famiglia se avesse continuato a reclamare la restituzione dell’albergo per inadempienza contrattuale. Poi avrebbero mandato un loro collaboratore davanti alla casa dell’imprenditore per fargli capire che sapevano dove abitava. Alla fine, insomma, è venuto fuori che gli accusati con la ‘ndrangheta non c’entrano, ma oltre che gli atteggiamenti imitavano anche i metodi cruenti. «La propensione turistica della provincia di Rimini, dove è presente la metà degli esercizi alberghieri disponibili di tutta la regione - avverte il colonnello Alessandro Coscarelli, comandante provinciale della Guardia di finanza - ha da sempre catalizzato l’attenzione di gruppi criminali, connessi e non alla criminalità organizzata. Gruppi che possono approfittare della mancanza di associazioni delinquenziali locali e dell’inesistenza di un predominio autoctono nelle attività illecite». L’attenzione da parte della Guardia di finanza resta altra nell’approfondire con grande attenzione le denunce «da parte di cittadini e lavoratori, come nel caso dell’inchiesta Popilia».

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