In cammino con Anita Garibaldi

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Se c’è una terra, oltre quella originaria brasiliana, che può “vantarsi” di essere terra d’elezione di Anita Garibaldi, questa è la Romagna, qui dove la compagna del generale Garibaldi trovò la morte. Anita merita di essere celebrata – nel bicentenario della nascita, 30 agosto 1821 – al pari dell’eroe dei due mondi, per la sua perseveranza e caparbietà nel voler essere a fianco del suo amato, condividendo con lui guerre e battaglie e odissee per sfuggire ai nemici, tra cui appunto la arcinota “Trafila romagnola”, il passaggio del condottiero delle camicie rosse in varie località romagnole.

Il progetto ha per capofila il Comune di Verucchio e con il sostegno di Visit Romagna e la Repubblica di San Marino, mette insieme tre Stati: Italia, Brasile e San Marino, e tre province per la nascita del “Cammino di Anita (Garibaldi)” in sette tappe fra San Marino e Mandriole, dove spirò.

Il 30 agosto, nel giorno del 200°, il lancio dell’iniziativa: i rappresentanti delle istituzioni hanno compiuto la prima tappa da San Marino a Verucchio, fatto un collegamento con il Senato brasiliano in seduta celebrativa, raggiunto il Ravennate in pullman e fatto gli ultimi km al Capanno Garibaldi e alla Fattoria Guiccioli.

La storia

Ana Maria De Jesus Riberio nasce vicino alla città di Laguna, all’estremo sud del Brasile, nello stato di Santa Caterina. Alla morte prematura del padre, la famiglia cade in una estrema povertà. Anita sposa Manuel Giuseppe Duarte, un calzolaio, occasionalmente pescatore, conservatore e reazionario, all’età di 14 anni e si trasferisce a Laguna. Il matrimonio dura pochi, difficili, anni. Del marito di Anita non si sono mai avute notizie certe. Sembra che Duarte morì in un naufragio durante una battuta di pesca.

È l’anno 1839 e Garibaldi arriva con tre lancioni per prendere Laguna e costituire la Repubblica Juliana. Sfuggito a chi lo aveva condannato a morte in contumacia per avere partecipato ai moti carbonari e per essere iscritto alla Giovane Italia di Mazzini, si era rifugiato in America Latina, prendendo subito parte a insurrezioni locali.

Colpo di fulmine

Dalla sua nave Garibaldi scruta la terraferma con un cannocchiale e scorge un gruppo di ragazze tra cui quella che d’istinto, immediatamente, individuò come la sua prossima sposa. Nelle sue memorie Garibaldi scrive che rimase fulminato dal suo aspetto e dalla sua personalità. E quando Giuseppe – che lei chiamava Josè – riceve l’ordine di salpare, Anita vuole a tutti i costi imbarcarsi con lui. Si sposano quando viene accertata la morte del primo marito.

In Brasile nasce il primo figlio, chiamato Menotti in onore di Ciro, martire del Risorgimento. Quando la piccola famiglia si trasferisce a Montevideo nascono altri tre figli: Rosita, Teresita e Ricciotti.

Nel 1847 tornano in Europa, a Nizza. Quando, nel 1849, fu proclamata la Repubblica Romana, Garibaldi viene proposto come deputato. Anita potrebbe rimanere al sicuro a Nizza coi suoi figli, ma decide di raggiungere il marito a Roma. Quando lui la vide, la presentò agli amici con queste parole: «Questa è Anita, ora avremo un soldato in più!».

La Trafila romagnola

Quando la Repubblica di Mazzini cade, Garibaldi fugge da Roma, Anita si taglia i lunghi capelli, si veste da uomo e parte a cavallo a fianco di Josè. I soldati di cinque eserciti li inseguono. Garibaldi, Anita e 160 volontari raggiungono Cesenatico, dove si imbarcano, ma nei pressi di Goro iniziano dei cannoneggiamenti e sono costretti a sbarcare a Magnavacca, oggi Porto Garibaldi. La fuga prosegue a piedi. Raggiungono la fattoria dei conti Guiccioli, presso Mandriole.

Anita, ormai priva di conoscenza per malattia e stenti, viene deposta su un letto dove muore poco dopo fra le braccia del suo Josè. La vita di Anita fu intensa e brevissima, morì a soli 28 anni.

Dopo varie vicissitudini, nel 1931 il governo italiano ne sposta i resti a Roma, al Gianicolo. Il monumento della sepoltura la rappresenta a cavallo col figlioletto al collo in atteggiamento di galoppo. E ogni anno, il 4 di agosto, giorno della sua morte, nell’aia della fattoria Guiccioli, ora museo, si cantano le canzoni che parlano di lei e un gruppo di giovani vestiti da garibaldini con fucili ad avancarica, agli ordini di un ufficiale, sparano a salve al grido: «In onore di Ana di Riberio Garibaldi!».

In Romagna molte donne portano ancora il suo nome.

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